Strage. Ecco perché pagherò le spese
Quando un sistema, le sue istituzioni, o alcune di esse, non sono state in grado, dopo circa quarant’anni – il tempo di due generazioni! – di riconoscere ed affermare uno dei diritti fondamentali sul quale si è costruito il patto tra i cittadini e lo Stato, quello alla giustizia, viene fortemente leso non solo il sistema di garanzie democratiche su cui una società fonda il proprio vivere civile, ma qualcosa di più profondo: un sentire comune, l’idea che i responsabili di un odioso delitto devono essere sanzionati. Non una verità giudiziaria purché sia, una sorta di «mezza vendetta» per soddisfare le pulsioni violente che ognuno si porta dentro, ma un atto che renda limpide, intelligibili le responsabilità individuali, che risarcisca memoria e diritto per andare, per davvero, oltre. Lo stigma di un delitto impunito, come è nel nostro caso, rimane invece indelebile sul volto sfigurato di chi è stato delegato non solo a rappresentare ma ad inverare i principi costituzionali.
Trentotto anni di indagini e processi, non hanno portato sul piano giudiziario ad alcun risultato. I vari imputati, nei diversi procedimenti, sono stati tutti assolti per mancanza di prove decisive. Nessuno di loro ha testimoniato in aula: i loro volti e le loro storie sono state evocate dai loro difensori. Da altri abbiamo ascoltato parole oblique, che nascondevano, omettevano, depistavano, che ci rubavano giorno dopo giorno, udienza dopo udienza, il desiderio di sapere, di conoscere, di capire i tanti, troppi «perché». Ho sentito la distanza incommensurabile tra quell’aula del tribunale di Brescia e quella di una qualche cittadina sudafricana dove si erano svolte le udienza della commissione per la verità e riconciliazione, dove i responsabili di orrendi delitti guardavano negli occhi le loro vittime, o i loro parenti. Qui, in questo civilissimo Paese, niente di tutto questo.
I volti che conosciamo, sono solo quelli dei nostri morti e di tutti coloro che erano lì, in quella piazza, quel giorno. Io so che la strage è un delitto «fascista e di Stato»: fascista, per la natura di tale atto e l’ideologia che ne definiva la strategia eversiva, ma anche di Stato, per la corresponsabilità di alcuni suoi rappresentanti nell’aver operato contro l’accertamento dei fatti, dagli attimi immediatamente successivi allo scoppio della bomba. A Brescia, come in tutti gli altri episodi che hanno illuminato di dolore e lutti la lunga «notte della Repubblica», nessuno ha pagato. Qui vi vedo l’origine di una frattura tra le istituzioni e quel sentire comune di cui dicevo. Le troppe verità mancate non possono non determinare l’indebolimento di tale rapporto, provocare un vulnus, il venire meno di una relazione di fiducia. Non sta forse qui, almeno in parte, la ragione della crisi del nostro sistema democratico, dei suoi fondamenti istituzionali ed etici?
L’ultima sentenza d’appello si è conclusa con la richiesta rivolta alle parti civili di risarcire le spese processuali. Poi, gli interventi del presidente della Repubblica e del Governo hanno «rimediato» ancora una volta ad una legge per lo meno discutibile, se non insufficiente. Ma proprio per questo ho deciso di rinunciare a tale disponibilità istituzionale, dichiarandomi «obbediente» alla norma: pagherò di tasca mia quanto essa prevede mi spetti. Con questo atto voglio testimoniare, come parte offesa, il mio personale biasimo per una «verità tradita». La sentenza riguarda il singolo cittadino coinvolto nel procedimento: è lo Stato che attraverso l’autorità giudiziaria esprime un giudizio. E quando l’esito è negativo, come in questo caso, quello stesso cittadino ha il dovere di esprimere il suo sdegno nelle forme che ritiene più consone. Le istituzioni non hanno nessun obbligo di risarcirmi per un loro errore (una legge sbagliata): devono semplicemente applicarla. Ai parlamentari che invece hanno proposto di pagare loro le spese, mi sento di dire: non è il vostro compito. Avete solamente il dovere di cambiarla. E questo non l’avete fatto.