Avevano sei anni e quattro anni quando Carlo Rivolta morì. Era il 1982, trent’anni fa. Un’epoca davvero distante. E quindi questo è il merito dei due scrittori: aver scritto oggi la storia del cronista Carlo Rivolta morto quando loro non sapevano ancora leggere o giù di lì.
Tommaso De Lorenzis (diciamo editor) e Mauro Favale (cronista oggi di Repubblica) hanno scritto un buon libro “L’aspra stagione” per Einaudi nella collana Stile libero. Un libro per raccontare la vita di un cronista come Carlo Rivolta, piuttosto unico all’epoca e cioè nella seconda parte degli anni ‘70.
Hanno sentito e ascoltato molte persone: amici, giornalisti, amori di Carlo Rivolta (hanno passato un giorno e mezzo con sua madre, oggi purtroppo morta, e hanno raccolto le parole di Emanuela Forti e Francesca Comencini, due donne della breve e intensa vita di Rivolta). Dunque un buon lavoro approfondito e accurato.
Con un buco nero però molto grande e vistoso: Eugenio Scalfari padre padrone di quel giornale che lanciò alle stelle Rivolta si è sottratto a quanto pare all’intervista. Scalfari, che faceva scrivere in prima pagina Rivolta, non parla.
Peccato, perché sfiorata nel libro per la parte finale della storia professionale e umana di Carlo Rivolta c’è anche quella roba che si chiama eroina, affrontata da Rivolta nella fase discendente della sua presenza a Repubblica quando la sua firma si era fatta sempre più rara. E c’è l’eroina anche come materia prima dell’inchiesta che Rivolta fece sulla droga a Roma, facendosi finanziare dal giornale per acquistarne un po’ e farla analizzare ecc ecc (ma anche, come poi si è saputo, pure per consumarne un po’).
Perché Carlo Rivolta, in quella fase discendente della sua vita, aveva cominciato a far uso di eroina. Una fase discendente, già, visto che il suo astro (in quella Repubblica “normalizzata” rispetto alla fase iniziale da un forte ingresso di giornalisti “comunisti” cioè del Pci che erano andati ad occupare posizioni importanti nella macchina del quotidiano) era ormai in forte discesa. Repubblica non voleva più raccontare il movimento, come aveva fatto con Rivolta a lungo nel ’77, ma ora nel ’79-‘80 stretta dalla nuova maggioranza della fermezza, quella che aveva gestito il sequestro Moro (si è visto come), puntava a un resoconto più istituzionale.
Questa parte nel libro è meno approfondita, peccato perché non riguarda solo la parabola di Rivolta ma anche di altri giornalisti che per fortuna non hanno subito una sorte altrettanto funesta, giornalisti che però al pari di Rivolta non erano più congeniali al nuovo impianto politico di Repubblica al momento della grande coalizione dc-pci sul finire degli anni 70 e all’inizio degli ‘80.
Detto questo, grazie ai due giovani scrittori per averci restituito (a parte qualche tono un po’ agiografico) quella stagione lontana in cui un bravo cronista cercò di fare del suo meglio per intercettare gli umori profondi di quel paese che appare così distante e che invece non lo è per niente.