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L’impasse siriana, tra altri morti e attesa dell’Onu

Un portavoce di Kofi Annan, inviato speciale dell’Onu e della Lega Araba per la crisi siriana, ha annunciato martedì che una delegazione si recherà in Siria entro le prossime 48 ore per preparare una missione di osservazione nel Paese. La delegazione sarà formata da cinque o sei tecnici, ma non è stata ancora ufficializzata alcuna data per l’inizio della missione di osservazione. Intanto non si placano le violenze. Sarebbero almeno 10 le vittime di martedì nell’offensiva delle forze fedeli al regime, stando ai dati diffusi dal’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, organizzazione dell’opposizione in esilio con sede nel Regno Unito. Secondo l’Osservatorio le truppe lealiste hanno bombardato Homs e Zabadani, città alla frontiera con il Libano. Numerosi gli assalti anche in diverse località nelle province di Idlib e di Deraa: in quest’ultima, in particolare, sono stati segnalati rastrellamenti e arresti di massa a Dael, dove sono inoltre state date alle fiamme una quindicina di abitazioni civili. Questi ultimi episodi, che si vanno a sommare ai 62 morti di lunedì (di cui 16 civili) e agli 81 di domenica, dimostrano quanto la «fine della mattanza» che Annan aveva auspicato entro breve, sia in realtà ancora lontana.

Qui di seguito il punto fatto da Raja ElFani:

Overview

di Raja ElFani

Dopo la riunione ad Istanbul sulla Siria, l’Onu stringe ancora la morsa con la Tregua Annan, finalmente accettata da Assad e prevista per il 10 Aprile. Ancora l’America si sente insultata dalla Russia, quando l’offesa, complici tutti, è alla libertà. Il Golfo, sordo ai formali avvertimenti della Nato, stipendia i disertori dell’Esercito Libero. Quante voci narranti per un racconto così statico.

Quando il mondo è disparato e che non c’è una convenzione universalmente valida, la norma internazionale è ottenuta per estrusione, da stampi ibridi. I problemi più gravi (fame, ambiente, guerra etc.) affiorano nella realtà planetaria formando un agglomerato caotico. Finora le operazioni internazionali ne hanno aumentato la densità. E malgrado l’impostazione organizzativa dei sistemi politici e una stretta codificazione legislativa, gli accordi dipendono pur sempre dall’arbitrio.

Perciò nel trattamento delle questioni mondiali, il cambio di scala è costante: a seconda della complessità del magma internazionale, le strategie oscillano tra globale e locale generando una realtà cubista. La prospettiva internazionale infatti è di difficile approdo a dispetto dello sforzo di coordinazione dei paesi. Per soluzioni globali ci vuole la giusta percezione, siamo in attesa di una nuova consapevolezza. Il mondo attuale, pur se mosso da un’autentica necessità storica, si rifà alla percezione globale senza averla decodificata. Le tecnologie sono rivolte ad un risultato analogo via le scorciatoie algoritmiche, ma è compito culturale riportare l’intelligenza ad una visione sociale superiore.

La campagna diplomatica internazionale anti-Assad è la ricerca per vie legali di una evidenza universale, quella della fine, la morte. Questa ricerca ha bisogno della confezione legittimante per provare o identificare un male ed azzerarlo. I tecnici del potere quanto i rivoluzionari premono sugli stessi cardini per ottenere l’avallo della civiltà, ogni movimento dipende dall’avvento di un consenso. Poiché il processo storico evolve come un lavorio dell’ordine, a parità statistica, al di là di mezzi e potere. Di questo hanno paura i regnanti, questo muove la macchina dei massacri sommari, e questo ancora si cela dietro la grottesca disparità tra civili e militari. La rappresentazione della vittoria, per esempio nelle immagini di Assad che passeggia nelle vie di Homs devastata, non si basa mai sull’opulenza materiale né sulla potenza effettiva. La battaglia è sul fronte concettuale, sul fronte della conquista di civiltà, di significati. E più lo scontro è ingiusto e sproporzionato, più chiara è la separazione tra potere e cultura, più è stata sottovalutata. Concetto oggi è questione pratica.

Se l’impasse siriana è così incredibilmente incongruente, e lo spettacolo delle astrazioni onusiane così discordante, è perché l’internazionale non ha che la guerra come azione globale, come affermazione del potere globale. La globalità creativa ancora non è uno strumento diretto per l’umanità.

Raja ElFani

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