Riprendo da corriere.it di sabato 28 aprile la notizia data da Luigi Ferrarella sulla definitiva chiusura dell’indagine sulla pista della cosiddetta “doppia bomba”, la tesi del libro di Paolo Cucchiarelli ripresa anche da Marco Tullio Giordana. “Assoluta inverosimiglianza” per la Procura di Milano, che firma l’atto con i Pm Spataro e Pradella. Archiviata anche la posizione di Paolo Cucchiarelli indagato per “dichiarazioni reticenti” a proposito di una sua fonte costituita da un neofascista ignoto.
Milano La tesi del giornalista Cucchiarelli che ha ispirato il film di Giordana
Piazza Fontana, la tesi della «doppia bomba»
archiviata: era l’ultima inchiesta rimasta
Negli atti nessuna traccia della miccia, indicativa della presenza
di un ordigno. «Non condivisibili» spunti del colonnello Giraudo
MILANO – Va in archivio l’ultima indagine segreta sulla strage di piazza Fontana. Quella che, sull’ordigno che il 12 dicembre 1969 uccise 17 persone e ne ferì 88 dentro la Banca Nazionale dell’Agricoltura, per due anni ha esplorato quattro nuovi spunti investigativi tra i quali anche la tesi della «doppia bomba», avanzata dal giornalista Paolo Cucchiarelli nelle 700 pagine del suo libro Il segreto di piazza Fontana , e sposata (seppure con diversa attribuzione delle responsabilità) dal film che al libro si è «liberamente ispirato», Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana: un ordigno dimostrativo, che un timer avrebbe dovuto far scoppiare a banca chiusa, e un’altra bomba invece a miccia, piazzata (ad insaputa del primo attentatore) proprio per uccidere.
Ma adesso la Procura mette la parola fine anche a quest’ultima inchiesta. In una lunga richiesta di archiviazione a carico di ignoti, ritiene di escludere che le nuove dichiarazioni di tre testimoni coltivate dal colonnello dei carabinieri Massimo Giraudo possano avere un sia pur minimo valore processuale; e liquida con un giudizio di «assoluta inverosimiglianza» la teoria della doppia bomba. Proprio questo determina una seconda richiesta di archiviazione, quella per Cucchiarelli stesso, inizialmente accusato di «dichiarazioni reticenti» ai pm quando nel 2010 non aveva voluto rivelare l’identità di Mister X , cioè del misterioso neofascista che, chiedendogli l’anonimato, lo aveva introdotto alla doppia bomba.
I pm Armando Spataro e Grazia Pradella avevano due strade. Una era cercare di identificare Mister X lavorando sui contatti del giornalista (difeso dagli avvocati Luigi Vanni e Chiara Belluzzi) a forza di tabulati telefonici, intercettazioni, sequestri: ma i pm, nell’archiviazione che reca il visto del procuratore aggiunto Maurizio Romanelli, rimarcano di aver rinunciato a questa opzione per non aggirare indirettamente il sistema di protezione del carattere fiduciario delle fonti dei giornalisti contemplato dalla legge. La seconda strada era invece quella indicata proprio dalle norme, che ben avrebbero potuto consentire – se la notizia fosse stata «indispensabile ai fini della prova del reato» e se la sua veridicità fosse stata accertabile «solo attraverso l’identificazione della fonte della notizia» – di chiedere al «giudice» appunto di «ordinare al giornalista di indicare la fonte delle sue informazioni». Ma la Procura non ha ritenuto valesse la pena di nemmeno innescare questa procedura, perché argomenta di poter già trarre dalla montagna di atti dei passati processi la smentita, in termini di «assoluta inverosimiglianza», della tesi della doppia bomba così come della presenza di una miccia.
Le conclusioni della Procura sono peraltro severe sulle corpose informative nelle quali l’ufficiale dei carabinieri, che negli anni ha raccolto contatti e valorizzato confidenze di persone propostesi come depositarie di importanti segreti, ha riversato ai pm un materiale che però ora proprio quei pm giudicano inutile processualmente e discutibile perfino sul piano logico. Al punto da giungere a mettere nero su bianco che la Procura milanese trova «non condivisibile» il modo di operare dell’ufficiale.
La verità giudiziaria resta dunque la responsabilità dei neofascisti di Ordine Nuovo: il collaboratore Carlo Digilio ha ottenuto nel 2000 la prescrizione dopo aver confessato il proprio ruolo nella preparazione e ricostruito la catena di comando Usa che lo “gestiva” come collaboratore nascosto della Cia; e la Cassazione, nel confermare nel 2005 l’assoluzione in appello del trio Zorzi-Maggi-Rognoni condannato in primo grado nel 2000 all’ergastolo, ha scritto che con le nuove prove, emerse nelle inchieste successive allo «scippo» del processo milanese nel 1972 e alla definitiva assoluzione nel 1987 degli ordinovisti veneti Franco Freda e Giovanni Ventura, entrambi sarebbero stati condannati. Provati anche i depistaggi delle indagini: l’ex generale del Sid, Gian Adelio Maletti, e il capitano Antonio Labruna ebbero condanne definitive per aver fatto scappare all’estero protagonisti cruciali.