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Morte di Feltrinelli, riemerge una perizia medico-legale che diceva: è stato un omicidio

Le ferite di Giangiacomo Feltrinelli, morto sotto un traliccio nel 1972, non sono solo dell’esplosione ma anche precedenti, frutto di colpi inferti sulla sua testa. Insomma non fu morte per attentato dinamitardo come qualcuno fece di tutto per mostrare: le mani di Feltrinelli, morto “ufficialmente” mentre preparava un ordigno, erano invece intatte.

L’articolo di copertina del magazine Sette del Corriere della Sera, scritto da Ferruccio Pinotti, riporta alla luce un documento poco noto che oggi grazie agli atti scannerizzati dal tribunale di Milano sul tragico evento del ’72 è consultabile.

Si tratta della relazione di consulenza medico-legale” redatta da due luminari dell’epoca, il professor Gilberto Marrubini e il professor Antonio Fornari (lo stesso che poi dimostrò che il suicidio di Roberto Calvi sotto il ponte londinese era invece un omicidio).

Il documento mai pubblicato finora contesta l’impostazione dei periti d’ufficio e parla di successione cronologica delle ferite del cadavere di Giangiacomo Feltrinelli. I due periti rilevano tra l’altro tracce di legacci sui polsi di Feltrinelli. Tra le lesioni non riferibili all’esplosione ce n’è una in sede di encefalo corrispondente al lobo temporale destro. Insomma una cavità orbitale “conciata” come da pugno o percossa. Un’altra ferita inquietante è l’area fratturativi di tipo percolare riscontrata in corrispondenza della rocca petrosa destra, sulla testa. Una lesione riferibile solo a un trauma contusivo di tipo meccanico.

L’articolo ricorda poi che le indagini furono eseguite da un capitano dei carabinieri fatto giungere dal Veneto, Pietro Rossi, risultato poi di collegamento col servizio segreto Sid e legato alla struttura andreottiana dell’Anello.

Il magistrato incaricato Antonio Bevere fu poi estromesso dal procuratore capo Enrico De Peppo, uomo di destra. Bevere era considerato di sinistra. A capo dei carabinieri c’era poi il generale Palumbo  della divisione Pastrengo, affiliato alla P2 come si scoprì poi dagli elenchi di Villa Wanda a Castiglion Fibocchi.

Fa impressione questo depistaggio che è stato  organizzato intorno alla morte di Feltrinelli, presentata all’epoca come la conclusione tragica di un’attività da dinamitardo e terrorista.

I giornalisti che allora tentarono come Camilla Cederna di scavare in questo “omicidio” furono processati per diffusione di notizie false e tendenziose.

E ora? Dopo questa riesumazione di documenti così significativi che succederà? Nulla?

Ho conosciuto Giangiacomo Fekltrinelli nel 1967. A Pisa Guelfo Guelfi ed io ci eravamo messi in testa di metter su una libreria, senza disporre di capitali però. Il nome comunque ce l’avevamo: Libreria internazionalista Frantz Fanon. La sede fu in piazza Dante, accanto all’università, un piccolo locale arredato con i mobili dell’architetto Mariani, un amico. Ci mancavano però i libri. Andammo questuando di editore amico in editore amico. Incontrammo anche Giangiacomo Feltrinelli in via Andegari, a Milano, nel suo ufficio. Ci ascoltò e ci dette tutti i libri che volevamo in deposito. Insomma gratis. (nella foto Feltrinelli con James Baldwin) Lo rividi poi nel primo ’68 a Berlino, era venuto al Vietnam Congress, mangiammo wurstel e parlammo insieme in un posto a Zoobanhof. Era un uomo che ascoltava, aveva le sue idee, era molto legato a Cuba e alla sua conferenza internazionale. Non l’ho più rivisto poi, salvo ritrovarmelo cadavere quattro anni dopo in quella foto sotto il traliccio. Ucciso per le sue idee e attività considerate sovversive? Roba che in molti pensammo allora. Non sapevamo che c’erano dei periti che lo scrivevano.  Altro che terrorista…

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