Cucchiarelli fonde elementi d’inchiesta a voli pindarici, mettendo in ombra verità giudiziarie acquisite
Dietrologie su Piazza Fontana
tra finti segreti e confusione ad arte
Francesco “baro” Barilli
e Saverio Ferrari
“Il segreto di Piazza Fontana”, scritto
da Paolo Cucchiarelli e uscito per
l’editore Ponte alle Grazie (pag. 704,
19,80), è un lavoro interessante e
inquietante nella prima parte, sconcertante
e irritante nella seconda.
Fonde elementi di inchiesta a voli
pindarici dell’autore e appare viziato
alla base da un difetto: il cadere in ricostruzioni
azzardate, con concessioni
alla più sfrenata dietrologia.
Le due bombe nella
banca, quelle “scomparse”
e “l’ingenuità” degli
anarchici
Quel giorno, alla Banca nazionale
dell’agricoltura, sarebbero state portate
due bombe. Una di matrice
anarchica; dotata di timer e trasportata
nella banca da Pietro Valpreda,
era destinata a un attentato dimostrativo,
dovendo esplodere quando gli
uffici erano già chiusi e privi di persone.
La seconda, più potente, sarebbe
stata portata dai fascisti; dotata di
accenditore a strappo e di una miccia,
fu fatta esplodere prima di quella
anarchica, innescando forzatamente
pure questa. Fu l’ordigno a miccia
a causare la strage, e la strategia era finalizzata
ad addossare l’attentato alla
sinistra. Più precisamente, i fascisti
non intendevano fermare il proprio
depistaggio a poche schegge dell’ambiente
anarchico, ma volevano arrivare
fino all’editore Giangiacomo
Feltrinelli. In questa ottica Valpreda,
pur restando sostanzialmente innocente,
torna ad essere figura assai discutibile:
ingenuo burattino dei fascisti,
stragista involontario, testa calda
che si accompagnava a frequentazioni
dubbie, mentitore per necessità.
Un conto è però ricordare Valpreda
come un ingenuo, ben altra cosa
è descriverlo come una marionetta
teleguidata che segue indicazioni altrui
senza porsi domande o dubbi: il
suo comportamento, nella ricostruzione
di Cucchiarelli, rasenta più
l’imbecillità che l’ingenuità.
Secondo Cucchiarelli quel giorno a
Milano sarebbero falliti altri due attentati.
Questa voce fu riportata già
da alcuni quotidiani nei giorni successivi
il 18 dicembre ’69: i giornali
riferirono di una conferenza stampa
tenuta il giorno precedente dagli
anarchici del circolo del Ponte della
Ghisolfa. Secondo tale fonte, la sera
del 12 dicembre sarebbero stati ritrovati
altri due ordigni inesplosi, uno
in una caserma militare e uno in un
grande magazzino; la Questura milanese
smentì la circostanza. Ne “Il segreto
di Piazza Fontana” si ipotizza
che anche questi due ordigni fossero
di matrice anarchica, e che pure questi
dovessero essere manomessi o
raddoppiati dai fascisti, per rendere
più pesante il bilancio stragista.
E qui si torna alla “stupidità” degli
anarchici, che doveva essere, se si
vuol credere al libro, una loro caratteristica
endemica: secondo l’autore
è Giovanni Ventura a portare l’11 dicembre
due bombe ai coniugi Corradini,
e sempre secondo Cucchiarelli
si tratta proprio dei due ordigni
“scomparsi”. Va sottolineato che i
Corradini erano attivisti anarchici
tornati in libertà solo il 7 dicembre,
dopo mesi di carcere per gli attentati
del 25 aprile, un’accusa per cui buona
parte del loro gruppo era ancora
detenuta. In questo contesto appare
inverosimile che due persone da
poco scarcerate si espongano con
leggerezza a una simile operazione:
per i Corradini si andrebbe oltre
l’imbecillità.
Il ruolo di Pinelli
e la sua morte
Pure il ferroviere anarchico dal libro
esce innocente, ma non privo di
macchie. Quel giorno Pinelli avrebbe
intuito la trappola fascista in cui
stavano per cadere i suoi compagni e
si sarebbe adoperato per evitare che
le altre due bombe scoppiassero a
Milano. Per questo avrebbe fornito
un alibi falso a chi lo interrogava, facendo
insorgere sospetti sul suo conto;
nella concitazione dell’interrogatorio,
sarebbe nata una colluttazione,
sfociata nella mortale caduta dal
quarto piano della Questura milanese.
Nel caso Pinelli, la ricostruzione
della dinamica della caduta appare
valida, anche se non viene aggiunto
nulla di nuovo al panorama, che già
contemplava la colluttazione e la
morte “incidentale” tra le ipotesi.
I finti scoop
In un’inchiesta complessa come
quella su Piazza Fontana (intricata di
suo, inquinata dai noti depistaggi, ormai
appesantita da anni che la rendono
ancora più difficoltosa) è normale
affidarsi, oltre che ai fatti, a ragionamenti
logico deduttivi o a intuizioni.
L’importante è non farsi accecare
dalla voglia di giungere a un risultato,
spacciando le ultime per fatti
acclarati. Purtroppo è proprio in
questo tranello che cade “Il segreto
di Piazza Fontana”. Tutta la spiegazione
sulla doppia bomba alla Banca
dell’agricoltura resta una teoria non
sorretta da elementi solidi. Peraltro,
c’è un dato storico che a Cucchiarelli
sembra sfuggire: che i fascisti abbiano
ideato una strategia complessa
per addossare la strage agli anarchici
è cosa ormai condivisa da tutti, e così
pure che questa sia risultata efficace
per lungo tempo. Perché i fascisti
avrebbero dovuto renderla ancora
più intricata di quanto già non sia
apparsa negli anni?
Da notare anche che ne “Il segreto di
Piazza Fontana” si affronta pure
un’altra ipotesi che per anni ha affascinato
storici e magistrati: quella del
“sosia di Valpreda”, ossia del neofascista
che sarebbe stato prescelto per
compiere l’attentato proprio per la
sua somiglianza con l’anarchico.
Cucchiarelli in proposito arriva a
una conclusione bizzarra: essendo
due le bombe da depositare nella
Banca, ci fu sì Valpreda, ma pure il
suo sosia, entrambi arrivati sul posto
con due distinti taxi. Anche in questo
caso si tratta non solo di un particolare
poco spiegabile (se si aveva
la certezza di far compiere l’attentato
a Valpreda e di incastrarlo con un
riconoscimento, perché anche l’altro
attentatore doveva essere un sosia
dell’anarchico?), ma pure di un appesantimento
organizzativo che poteva
mettere a repentaglio l’operazione.
Considerazioni a parte sono invece
dovute a un altro particolare che
Cucchiarelli evidenzia nel libro: il ritrovamento
di un pezzo di miccia,
menzionato nella fase iniziale delle
indagini e poi inspiegabilmente uscito
di scena, che fa pensare a un ordigno
il cui innesco fosse di tipologia
diverso da quello ormai consolidato
nella storia di Piazza Fontana (ossia:
un innesco a miccia in luogo del famoso
timer). Questo particolare è
forse il più rilevante fra quelli apparsi
nella prima e più interessante parte
del volume, nonché difficile da
controdedurre. Resta però un elemento
solitario, da solo insufficiente
per avallare ricostruzioni alternative
a quella che la magistratura ha già
puntualmente descritto, pur senza
arrivare a responsabilità personali.
I timer: ricostruzione
interessante, conclusioni
discutibili
Cucchiarelli fa una lunga dissertazione
sui timer (da 60 e 120 minuti)
comprati dal gruppo di Freda e Ventura
per Piazza Fontana e in generale
per l’operazione del 12 dicembre. In
particolare si sofferma sull’intercambiabilità
e sulla modificabilità dei
“dischi orari”. Il suo intento è dimostrare
che un timer da 120 minuti potesse
essere trasformato in uno da 60,
ingannando così un potenziale “attentatore
in buona fede”, il quale si
sarebbe convinto di posare un ordigno
la cui esplosione era stata programmata
due ore dopo l’innesco,
mentre in realtà il tempo concesso
alla detonazione era dimezzato.
La riflessione sulla manomissione
dei dischi-tempo è interessante, ma
crea alcuni buchi logici nella stessa
ricostruzione di Cucchiarelli, di cui
l’autore sembra non accorgersi o liquida
con superficialità.
Se la bomba “anarchica” era destinata
a esplodere per induzione, cioè
grazie a quella posata accanto dai fascisti
e con l’innesco a miccia, perché
si doveva modificare il timer? A quel
punto sarebbe andato benissimo il
temporizzatore da due ore, il risultato
sarebbe stato analogo. Cucchiarelli
pare accorgersi dell’incongruenza,
ma la liquida con poche parole:
«Con i timer contraffatti con le manopole
da 120 minuti ci si era assicurati
che il disastro avvenisse, anche se
fosse esplosa solo la bomba anarchica
». Un po’ poco per supportare la
teoria. Cucchiarelli denota un limite
che permea pure il resto del lavoro:
nel seguire una propria deduzione
non tiene conto del fatto che le intuizioni
spesso portano a strade alternative.
L’autore, invece, in questo come
in altri casi ne segue una sola, quasi
che – affascinato da un solo percorso
– abbia trascurato ogni alternativa
che lo possa portare a conclusioni diverse.
Le fonti e la loro
attendibilità
Lo ribadiamo: dopo un inizio interessante,
è nella seconda parte del libro
che Cucchiarelli perde il senso
della misura. Ma nel cambio di registro
narrativo lo scrittore fa di peggio,
avvicinandosi non alla fantapolitica
lucida e metaforica di Orwell,
ma a quella molto meno nobile di
Dan Brown. Lo schema è lo stesso:
un segreto inconfessabile a conoscenza
di pochi all’origine di una
battaglia nascosta tra uomini e apparati.
Alcuni vengono assassinati per il
segreto che hanno scoperto. Cucchiarelli
decodifica segni e messaggi
indecifrabili, raccoglie verità da personaggi
ancora nell’ombra…
Ma chi sono le fonti rivelatrici delle
nuove “verità” di Cucchiarelli? Innanzitutto,
Silvano Russomanno, ex
dirigente del Sisde, ossia un funzionario
di quei servizi segreti che operavano
anche infiltrando neofascisti
negli ambienti di sinistra, in particolare
in quelli anarchici. E poi c’è Mister
X, nella descrizione di Cucchiarelli
«un fascista operativo, uno che
sapeva e che agiva». In altre parole,
un pezzo grosso della destra extraparlamentare
dell’epoca, che protetto
dall’anonimato conduce il libro
alle “scoperte” più eclatanti.
Su “Il segreto di Piazza Fontana”
l’impressione complessiva è che Cucchiarelli
si sia fatto prendere la mano
dalle sue ricerche, in una specie di
bulimia investigativa che gli fa vedere
segreti dove segreti non esistono,
che gli fa scambiare la dietrologia, solo
perché ben documentata, per il
mezzo più opportuno per risolvere
non solo Piazza Fontana, ma pure il
caso Pinelli, l’uccisione di Mauro
Rostagno (secondo l’autore ucciso da
Lotta Continua, conclusione in contrasto
con evidenze giudiziarie emerse
di recente), la morte di Feltrinelli
e l’omicidio Calabresi (ad avviso di
Cucchiarelli assassinato, per aver scoperto
“il segreto”, da Lotta Continua
in combutta con i servizi segreti).
Decisamente troppo per un libro che
denuncia il proprio limite fin dalla
copertina, dove si afferma «finalmente
la verità sulla strage», con un’enfasi
che del volume sottolinea, più
che la natura, i limiti di una scarsa
umiltà.
“Il segreto di Piazza Fontana” è, se
non un depistaggio, un’occasione
mancata. O forse un’operazione politica
utile a ingenerare confusione e
mettere in ombra importanti acquisizioni
giudiziarie, tra cui l’innocenza
degli anarchici, approfittando di un
clima revisionista e cialtronesco che
oggi rende possibile far rientrare dalla
finestra veleni e sospetti già da
tempo usciti dalla porta principale
della storia.
Una versione più ampia dell’articolo è
disponibile su: http://www.reti-invisibi
li.net/piazzafontana/articles/art_1397
1.html e http://www.osservatoriodemoc
ratico.org/
> 12 dicembre 1969, una bomba fa
strage nella sede della Banca
Nazionale dell’Agricoltura di Piazza
Fontana a Milano > Ansa. > In alto,
un’immagine recente di Pietro
Valpreda > Tam Tam
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