Si apre questa mattina alle 9 a Brescia il Processo di appello per la srtrage del maggio 1974 in cui morirono otto persone. Il processo di primo grado si è concluso con unp’assoluzione dei cinque imputati. Era il terzo processo sulla strage e la sua conclusione nel dicembre di un anno fa ha lasciato l’amaro in bocca. Ora l’Appello, che la Procura vuole sia anche di parziale nuovo dibattimento. Ci sono novità. Una , clamorosa, riguarda uno dei luoghi oscuri della strategia delle bombe e della tensione, un casolare dei terroristi neri che non era mai stato identificato. Ora eccolo individuato finalmente, a Paese, nel trevigiano. Qui di seguito l’articolo sul tema uscito pochi giorni fa su La Tribuna di Treviso:
Piazza Fontana, ecco il casolare di Paese
La Procura di Brescia: è in via della Libertà 1. Lorenzon: «Una svolta per le inchieste sulla stagione delle bombe»
di Giorgio Barbieri
Via della Libertà 1. Dopo oltre 40 anni è stato finalmente individuato il casolare di Paese in cui, secondo un “pentito”, il neofascista Giovanni Ventura, morto a Buenos Aires nell’agosto 2010, aveva depositato armi ed esplosivi per preparare gli ordigni utilizzati negli attentati ai treni nell’agosto del 1969. La Procura di Brescia, che il prossimo 14 febbraio deve affrontare il processo d’Appello per la strage di piazza della Loggia, sembra aver finalmente svelato uno dei più importanti misteri della storia repubblicana. Qui infatti si sarebbero anche svolti numerosi incontri nei mesi precedenti l’esplosione della bomba alla Banca nazionale dell’agricoltura in piazza Fontana a Milano, il 12 dicembre ’69.
La scoperta, che indurrà la Procura a chiedere la rinnovazione parziale dell’istruttoria dibattimentale, è avvenuta grazie all’avvocato trevigiano Giuseppe Sbaiz, legale di Sergio Bon, proprietario del rustico a Paese. Questi infatti aveva affittato in quel periodo il casolare a Ventura, salvo poi allontanarlo perché non pagava e perché, soprattutto, all’interno aveva trovato diverse armi.
L’individuazione del casolare di Paese renderebbe ora attendibili le parole dell’ex agente della Cia Carlo Digilio, uno dei testimoni chiave nel processo contro Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, Maurizio Tramonte, Francesco Delfino e Pino Rauti, tutti assolti nel novembre del 2010 dall’accusa di concorso nella strage di piazza della Loggia, avvenuta nel 1974. La Procura, grazie a questa scoperta, ritiene però di aver messo a segno un colpo molto importante.
Del casolare di Paese ne aveva scritto anche lo stesso Ventura in un’agenda ritrovata un paio d’anni fa tra le carte del processo di Catanzaro per la strage di piazza Fontana, che aveva visto uscire assolti con sentenza definitiva Franco Freda, lo stesso Ventura e Delfo Zorzi. Il neofascista di Castelfranco aveva annotato diversi e ripetuti incontri avvenuti a Paese, nei mesi precedenti la bomba alla Banca nazionale dell’agricoltura. Si fa sempre più strada quindi l’ipotesi che gli ordigni che esplosero lo stesso giorno a Milano, facendo 16 morti e 87 feriti, e a Roma, siano stati confezionati proprio nel cuore del Veneto, a Paese, dove finalmente sembra essere stato individuato il nascondiglio delle armi dei neofascisti.
«Si tratta di una novità di grande rilevanza», ha detto ieri Guido Lorenzon, il trevigiano che rivelò prima all’avvocato Alberto Steccanella, poi ai magistrati di Treviso Pietro Calogero e Giancarlo Stiz la vanteria di Ventura: «Succederà qualcosa di grosso a Milano». Secondo Lorenzon, l’individuazione del casolare di Paese potrebbe infatti portare alla riapertura di diverse altre inchieste sugli anni più bui della Repubblica.
Anche Guido Salvini, il giudice istruttore che negli anni ’90 riaprì le indagini su piazza Fontana, spiega al Venerdì la centralità del casolare di Paese: «Digilio ne aveva parlato come una santabarbara degli ordinovisti veneti, tra cui Freda e Zorzi, per tenerci armi ed esplosivi e in cui, con l’aiuto dello stesso Digilio, erano stati preparati molti degli ordigni usati per gli attentati del ’69. Il casolare era però introvabile, noto solo ad una ristretta cerchia di militanti, nessuno oltre a Digilio ci potè aiutare. Così, la mancanza di riscontro, fu giudicata in appello uno dei motivi centrali per assolvere gli imputati».