Si chiama Giovanni Fava e questo leghista vuole di fatto privatizzare la giustizia. Come? Permettendo a chiunque – senza passare attraverso un giudice ma usando una semplice mail – di far chiudere un sito o di far rimuovere documenti sul web quando ritenga che sia stato leso un qualche diritto di copyrigt. Ribattezzata come legge Sopa all’italiana la misura ha già superato indenne la commissione (dove il governo l’ha lasciata passare) e andrà in aula alla Camera. La mossa ha finalmente svegliato un po’ di scontenti tra i parlamentari, oggi Perina (Fli) e Giulietti (Pd) hanno presentato degli emendamenti e dei correttivi, sta di fatto che il centro destra – dopo aver dovuto accantonare la legge bavaglio sulle intercettazioni – ci sta riprovando a mettere la mordacchia a Internet e alla rete.
Chi è Giovanni Fava? E’ un mantovano eletto parlamnentare nel 2008, si è occupato di frattaglie varie, questa è la sua uscita in grande stile. Diplomato all’Istituto tecnico commerciale il leghista quarantatreenne è la nuova minaccia per il web. Almeno lo è ciò che ha appena proposto. E questo dice corriereweb.net:
L’emendamento presentato dal deputato della Lega Nord Giovanni Fava mira a modificare l’articolo 16 del decreto legislativo sul commercio elettronico del 2003, inserendolo nella legge comunitaria del 2011. La Commissione affari comunitari della Camera ha già espresso voto favorevole giovedì scorso, e presto sarà il Parlamento a esprimersi. L’articolo recita: “nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non è responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore: non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l’attività o l’informazione è illecita, e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illeicità dell’attività o dell’informazione; non appena a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni e disabilitarne l’accesso”.
Secondo Guido Scorza “si sta, per un verso, ipotizzando di privatizzare la giustizia consentendo a chiunque di ottenere la rimozione di un contenuto dallo spazio pubblico telematico senza neppure passare da un giudice, ma semplicemente minacciando un fornitore di hosting e un’eventuale azione di responsabilità e, per altro verso, si sta subdolamente cercando di porre a carico dei fornitori di hosting un obbligo di sorveglianza in relazione ai contenuti pubblicati dagli utenti che (…) è bene non abbiano mai”.
Democratici e futuristi si sono dichiarati contrari all’emendamento Fava, mentre il governo non ha ancora preso una posizione ufficiale. “Siamo di fronte a una pesante limitazione all’attività di alcuni dei più importanti operatori della società d’informazione – denuncia il deputato di Fli Della Vedova – Google, Facebook, Youtube e Yahoo, che sono semplici intermediari di informazioni e servizi pubblicitari, non hanno né la capacità né il compito di accertarsi se i contenuti segnalati siano effettivamente illeciti. Imporre al prestatore di servizi online di rimuovere o disabilitare l’accesso a informazioni segnalate da chiunque si traduce in un’immediata e automatica censura”.
L’emendamento Fava è stato accostato da siti e blog, immediatamente mobilitati contro il nuovo bavaglio, alla legge Sopa presentata, e subito ritirata, negli Stati Uniti. In pratica i proprietari dei diritti d’autore (“qualunque soggetto interessato” nel testo dell’emendamento) possono chiedere direttamente la rimozione dai siti web dei contenuti coperti da copyright, arrivando a consentire agli internet service provider procedure autonome di cancellazione dei contenuti. Le major potranno quindi chiedere la rimozione di contenuti su siti e blog aggirando l’autorità amministrativa o giudiziaria, e rivolgendosi direttamente al fornitore di servizi internet.
L’associazione radicale Agorà Digitale ha lanciato online l’iniziativa #nofava – No al bavaglio a internet e al Sopa italiano, una petizione per chiedere ai parlamentari di cancellare dalla legge comunitaria “l’emendamento che, in contrasto con le direttive europee, vuole obbligare i siti web a controllare preventivamente i contenuti pubblicati dagli utenti, rimuovendoli in base ad una semplice segnalazione di una parte interessata