Informazioni che faticano a trovare spazio

Otto dicembre, Cinisi: a fuoco il centro Impastato, non è stato un incidente…

Attentato al Centro Impastato di Cinisi, 8 dicembre. Non è stato un incidente, ma un attentato. Giovanni Impastato, fratello di Peppino, insieme a Umberto Santino, chiede di vederci chiaro. Dal corriere.it del 29.12.11:

L’8 Dicembre prese fuoco la pizzeria

Incendio al centro «Peppino Impastato»
«E’ stato un attentato» : inchiesta riaperta

Giovanni Impastato: tre bombole vuote vicino alle fiamme»

PALERMO – Grava l’ombra di un nuovo depistaggio, dopo 33 anni da quello attribuito a carabinieri e magistrati per il delitto di Peppino Impastato. E’ il «Centro Impastato» con i suoi dirigenti, gli avvocati e un perito di parte a scendere in campo. Insieme con il preoccupatissimo fratello di quella vittima innocente del clan Badalamenti, Giovanni Impastato, per dire che l’incendio appiccato la notte dell’8 dicembre alla pizzeria di Cinisi non fu fortuito, come sostenuto da una prima informativa dei Vigili del Fuoco, ma che si trattò di un attentato: «Volevano fare esplodere tutto il locale anche con tre bombole collocate vicino ai focolai».

L’ODIO DEI BOSS – E’ l’allarme riecheggiato da una conferenza stampa convocata per bloccare la tesi minimale sull’incendio che ha rischiato di distruggere la bottega sulla statale per Cinisi, a venti chilometri da Palermo, dove negli anni Settanta lavorava il padre di Peppino e Giovanni, quella dei «Cento passi», poi ampliata con una pizzeria ormai divenuta una sorta di centro culturale, soprattutto in estate quando si organizzano manifestazioni antimafia, si proiettano film e si presentano libri «con affollatissimi incontri sgraditi ai boss della zona, a tanta gente che odia la mobilitazione dei magistrati e scrittori, giovani e militanti», come ripete il presidente del Centro Umberto Santino.

RIPARTE L’INCHIESTA – Adesso Impastato e Santino, insieme con l’avvocato Vincenzo Gervasi, si affidano a un perito di parte, l’ingegnere Francesco Agrò, certo della matrice dolosa: «I vigili sono stati sviati da accertamenti eseguiti nell’immediatezza dell’incendio, in ambiente buio, sporco, saturo di fuliggine. I banconi andati in fumo erano scollegati dalla corrente elettrica. Non sono stati i compressori e i frigoriferi funzionanti e accesi a prendere fuoco. Questi sono stati solo raggiunti dalle fiamme appiccate su almeno due focali, forse tre». Il vero allarme è costituito comunque da quelle tre bombole vuote spostate da un’area di sicurezza e allineate a due passi dal cuore dell’incendio per fortuna spento in tempo dai pompieri, come insiste Impastato: «Dopo le nostre proteste si è mossa la Procura con un’inchiesta affidata al pm Ennio Petrigni che ha già mandato un altro perito…». D’altronde, lo stesso hanno fatto i Vigili del fuoco con un nuovo sopralluogo, mentre il generale dei carabinieri Teo Luzzi assicura che «le indagini non sono assolutamente chiuse perché continueranno ad andare avanti anche per mesi e anni se serve, orientate esclusivamente alla ricerca della verità e all’accertamento delle responsabilità».

IL VECCHIO DEPISTAGGIO – Un impegno quello dei carabinieri che lo stesso Impastato non sottovaluta: «So che è cambiato tanto negli anni e siamo fiduciosi. Ma non molleremo nella caccia ai depistaggi costruiti sul delitto di mio fratello da alcuni carabinieri e da un magistrato, il procuratore aggiunto Gaetano Martorana…». E’ la nuova pagina giudiziaria aperta nelle scorse settimane da un successore di Martorana, magistrato da tempo deceduto, il procuratore aggiunto Antonio Ingroia che con il pm Francesco Del Bene è deciso a sentire presto il generale Antonio Subranni. Un ufficiale in pensione, maggiore all’epoca del delitto, in contatto con Martorana, autore di un fonogramma in cui si parlò subito di «attentato alla sicurezza dei trasporti arrecato da Giuseppe Impastato, rimasto vittima di un suo ordigno…». Un depistaggio mai chiarito. Come ha deciso di fare la Procura, dopo la condanna e la morte di «don» Gaetano Badalamenti, riaprendo il caso. Proprio nei giorni di un incendio forse con troppa fretta derubricato a «corto circuito».

Felice Cavallaro

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