A chi serve l’euro?
di MANUEL CASTELLS *
Non ci sono più dubbi sullo spirito antidemocratico dell’Unione europea. La proposta dall’ex primo ministro greco, che voleva chiedere ai suoi concittadini se accettano di vivere in una austerità spartana per poter pagare il debito ha provocato una tempesta finanziaria e politica – che, tra maledizioni e minacce di Angela Merkel, Nicolas Sarkozy e David Cameron, ha causato la crisi del governo greco e ha buttato il paese gambe all’aria.
Cosa c’è di male se le persone mettono avanti a tutto la loro salute, la loro istruzione e il loro lavoro? Sono questioni molto complesse, per la popolazione? Non esageriamo, sono problemi che alcuni di noi studiano più dei governanti. Con alcuni colleghi, mi impegno a spiegare chiaramente ai cittadini cosa sta succedendo con l’euro, con la crisi, chi ne beneficia e chi ci rimette, e quali sono le diverse opzioni possibili, compresa la restituzione dell’euro a Bruxelles. A condizione, ovviamente, di disporre delle stesse informazioni che i banchieri e i politici riservano a se stessi.
Il problema non è la complessità, è la democrazia. Ciò che i politici temono di più in questi momenti è che li sostituiamo, che li derubiamo del potere delegato che detengono, grazie a un meccanismo elettorale controllato tra opzioni inquadrate entro i limiti del sistema, e legittimate dai media. Un referendum, anche se non è una forma perfetta di decisione popolare, apre un ventaglio di possibilità. Ma persiste un’arroganza delle élites e un rifiuto della volontà popolare, per quanto venga nascosto. Perché anche se i cittadini commettessero errori, hanno il diritto di sbagliare. Sono finiti i giorni i cui venivamo salvati perché non sapevamo cosa fare.
In realtà, non è salvare il popolo, ma di salvare l’euro, come se fossero la stessa cosa. Perché tanto interesse? E di chi? Perché dieci dei 27 membri dell’Unione europea vivono senza l’euro e alcune delle loro economie (Regno Unito, Svezia, Polonia) sono molto più solide della media dell’Unione europea? Difendere l’euro fino all’ultimo greco ultima è la prima linea di difesa per una moneta che viene condannata perché esprime economie divergenti e che non ha uno stato che la sostenga.
Con Portogallo e Irlanda in terapia intensiva, la Spagna alle corde, e l’Italia in permanente crisi politica e indebitata fino alle orecchie del suo ex leader, la difesa franco-tedesca dell’euro ha altre spiegazioni. Molto diverse dalle storie dell’orrore che ci raccontano, sulla catastrofe finanziaria che implicherebbe, con effetti devastanti sulla nostra vita quotidiana – come se la vita dipendesse dalla borsa.
La prima ragione è ovvia: salvare le banche, soprattutto tedesche e francesi, che hanno prestato senza garanzie alla Grecia e agli altri PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna) grazie alla manipolazione dei conti praticata, almeno nel caso della Grecia, con la consulenza da Goldman Sachs (certamente, deve essere una semplice coincidenza che Draghi, il nuovo presidente della Banca centrale europea, è stato impiegato anche nella Goldman Sachs).
Fin dall’inizio, hanno accettato il fatto che bisogna dimenticare il 50% del debito della Grecia, anche se non è chiaro chi finirà per pagare. Ma l’altro 50% deve essere ricavato da sudore sangue e lacrime dei greci, così che il mancato pagamento non resti impunito. Se la Grecia ripudiasse il debito – come ha fatto l’Islanda, che oggi sta andando così bene – una dracma svalutata del 60% renderebbe il resto del debito impagabile. Inoltre, l’effetto di contagio nei mercati finanziari porterebbe al mancato pagamento di gran parte del debito sovrano, che provocherebbe la dissoluzione delle banche che hanno approfittato dell’euro per prestare senza garanzie.
Cioè, si tratta salvare alcune banche, più in generale, di evitare una nuova crisi nel sistema finanziario. Rompono i paesi per non rompere le banche. Ma a che scopo? Alla fine, Merkozy [riferimento ad Angela Merkel e Nicolas Sarkozy] non sono funzionari di banche. Hanno il loro interesse politico, nazionale e personale. La Germania ha veramente bisogno che l’euro sia la moneta europea e che i suoi partner non possano svalutarla. Perché il modello tedesco di crescita, in realtà, è lo stesso di quello cinese: crescere attraverso esportazioni che beneficiano di una moneta sottovalutata, e salari più bassi (c’è stata una riduzione del 2% in termini reali negli ultimi cinque anni). Se ci fosse un forte euro-marco, la Germania avrebbe perso mercati in Europa e perderebbe competitività nelle esportazioni nei confronti di spagnoli o italiani.
Ma c’è un’altra dimensione politico-personale. Sia Merkel che Sarkozy hanno necessità di affermare la propria leadership europea per motivi di politica interna e per un progetto di grandezza nazionale che devono essere mascherati in modo da non risvegliare vecchi fantasmi. E altre élites politiche europee? La sensazione di essere europei in un mondo che cambia, dal Nord America all’Asia, dà loro l’impressione di essere qualcosa di più che prodotti dell’apparato di partito che tanto disprezzano.
E noi, in tutto questo? Certo, il disastro finanziario che l’avvento dell’euro-peseta (la peseta era la moneta spagnola fino all’avvento dell’euro, ndt) provocherà (nessun errore nel tempo del verbo) causerà problemi per la transizione economica e nelle nostre tasche – a seconda di come la transizione avverrà. Ma la sovranità della politica economica dovrebbe essere recuperata, la realtà monetaria e finanziaria si adatterebbe all’economia reale, aumenterebbe la competitività con la conquista di mercati esterni ed interni, ci sarebbe un’esplosione di turismo, che sarebbe un affare. Sarebbe possibile rilanciare l’economia stampando moneta. Quindi aumenterebbe l’occupazione. Perché l’essenziale è crescere, non auto-flagellarsi. Naturalmente, ci sarebbe inflazione. Ma è la ricetta migliore per ridurre il debito, compresi i mutui.
E il sogno europeo? Può essere costruito con le persone, si può amarsi invece di vedere solo i conti. Quando pensate all’euro, pensate alla frode. Quando pensate all’Europa, pensate agli amici.
* Questo articolo è comparso in origine sul quotidiano di Barcellona La Vanguardia. DKm0 lo ha tradotto dal portoghese dal sito http://www.outraspalavras.net.
Manuel Castells, urbanista e sociologo, è docente alle università di Berkeley e di Barcellona: è un esperto di nuove tecnologie della comunicazione.