Lunedì, Brescia – che diede 61 garibaldini all’impresa dei Mille – ospita la presentazione del mio libro “La lunga notte dei Mille “ (Feltrinelli, corso Zanardelli 3, ore 17,30, con Paolo Corsini e Piera Maculotti. Presente l’autore). Oggi domenica su Bresciaoggi è uscito questo articolo di William Geroldi (giovedì sul Giornale di Brescia) era uscito invece un interessante pezzo di Nicola Rocchi:
LA LUNGA NOTTE SENZA STELLE
Da Bresciaoggi del 25.9.2011 questa recensione di William Geroldi che annuncia per lunedì 26 settembre alla Feltrinelli di Brescia (Corso Zanardelli 3) la presentazione alle 17,30 del libro “La lunga notte dei Mille” con Paolo Corsini e Piera Maculotti, presente l’autore.
Mille e non più mille. Se la profezia dell’Apocalisse non pensava certo alle camicie rosse di Garibaldi, è altrettanto vero che il dopoguerra per quegli uomini è stato spesso, troppo spesso, segnato da umiliazioni, incomprensioni, solitudine.
Della partenza da Quarto, la sosta a Talamone, lo sbarco di Marsala, l’inarrestabile e impetuosa risalita della penisola fino a Teano, si sa tutto, o quasi; ciò che la storia ha invece dimenticato è la sorte spesso avversa toccata ai protagonisti di quell’epica vicenda.
QUEI POCHI che sono stati arruolati nell’Esercito del regno e accolti con insofferenza mista a un ingiustificato disprezzo dagli alti comandi, hanno poi sbattuto la porta gettando alle ortiche la divisa; altri, più fortunati o più abili, hanno intrapreso la carriera politica entrando in Parlamento e occupando cariche di prestigio.
Ci fu anche chi non disarmò per continuare la battaglia, ovunque ci fossero ragioni di libertà e giustizia da sostenere: in Francia, negli Stati Uniti, in Polonia, in Grecia.
Ma per la maggior parte dei garibaldini, gli anni a venire furono davvero un’Apocalisse, un calvario che stringe il cuore a leggere oggi, raccontato dal giornalista Paolo Brogi (ha lavorato per Corriere della Sera, Reporter e L’Europeo) nel libro «La lunga notte dei Mille, le avventurose vite dei garibaldini dopo la spedizione del ’60» (pagg. 317, euro 19, Aliberti Editore) che sarà presentato a Brescia domani pomeriggio alle 18 alla libreria Feltrinelli di corso Zanardelli.
Con l’autore interverranno Paolo Corsini, parlamentare ed ex sindaco di Brescia e Piera Maculotti in veste di moderatore.
Quello di Brogi è uno struggente ordito di ricordi che si dipanano fino al 1934, anno della morte dell’ultimo dei Mille, riempiendo un immaginario Pantheon con «quei tanti giovani pieni di entusiasmo che vollero a tutti i costi fare l’Italia. E che certo, nella memoria di tutti noi, meritano qualcosa di più che una scritta col nome e il cognome incisa su una lastra con un secolo e mezzo di ritardo al molo di Quarto» scrive nella prefazione Gian Antonio Stella, giornalista del Corriere.
IL LIBRO cita circa duecento dei Mille, ne tratteggia le sorti di una cinquantina, tra i quali molti bresciani, le cui vicissitudini sono raccontate in maniera cronologica, quasi fosse il diario di una fiamma che anno dopo anno si fa sempre più fioca, fino allo spegnimento.
Alla gloria dei De Pretis, dei Crispi, dei Cairoli fanno da controcanto grame esisistenze che solo una pensione riconosciuta ai reduci dei Mille riesce, ma non sempre, a rendere meno precaria. Senso di estraneità, spaesamento, difficoltà a ritrovare il significato di una vita normale, forse in questo per nulla aiutati da un paese che fatica ancora a pronunciare il termine patriota, colpiscono i sopravvissuti all’impresa dei Mille.
Ma è anche il male di vivere di chi ha vissuto con la morte accanto sui campi di battaglia troppo a lungo, e non tutti riescono a dimenticare.
Come nel maggio 1866, quando nelle acque del Mella annega il giovane Cesare Scaluggia, residente a Cailina. Il parroco di Villa, don Giovanni Battista Gobbini, scrive sul registro dei morti: «Fu uno dei Mille che sbarcò con Garibaldi a Marsala ed era pensionato del governo italiano. Era possidente e avea diploma d’ingegnere, avea quasi 29 anni».
Il garibaldino era rientrato a casa provato dall’esperienza militare e con problemi di riadattamento alla vita borghese; solo qualche giorno prima aveva spedito a Genova una lettera per chiedere di far parte della neonata associazione dei superstiti dei Mille.
NEL 1882, a Brescia, Giuseppe Antonelli ha appena 15 anni. Il padre Stefano, reduce dei Mille è morto nel 1867, lui era ancora in fasce, cresciuto dal nonno, morto a sua volta. Il piccolo Giuseppe viene accudito con gran cuore dalla famiglia della balia che a Nave lo accoglie in casa. Ma i soldi non bastano, al Comune di Brescia arriva la richiesta di riconoscere la pensione all’orfano.
Con quale esito non si sa, forse nullo, come per Giuseppe Bellandi, residente in Corso Magenta, di professione scrivano che richiesto di documentare la sua miseria risponde sdegnato che «un intempestivo sentimento di dignità gli impedisce di porre in evidenza le sanguinanti sue piaghe». E lo spedizioniere Alessandro Boni dichiara di non farcela più a mantenere la famiglia con ciò che gli resta della pensione dopo aver detratto «oneri di tasse, bolli, affitto e spese scolastiche».
Prega un sostegno anche Maria, vedova di Michele Caravaggi, panettiere, morto nel 1866 lasciandola sola «priva di mezzi e con due bambine piccolissime… Umilissima Maria Duini ved. Caravaggi, vicolo Mellone 1442, Brescia». Maria Caprioli, vedova di Giacomo Tassani, morto nel 1878, di Brescia «versa in condizioni economiche miserande. Domanda un sussidio». Sulla pratica il responso: «Pagatele 25 lire, quale vedova di uno dei Mille», firmato Giuseppe Capuzzi, ex garibaldino.
NEL 1904 un pacchetto spedito dalla Sicilia è consegnato al sindaco di Iseo. Dentro c’è il taccuino di Carlo Bonardi, morto a Calatafimi nel 1860 e il cui corpo non venne mai ritrovato: 44 anni dopo qualcuno decide di risvegliare i ricordi; nel pacchetto ci sono anche la licenza di caccia e due lettere di Fanny Bettoni, il suo antico amore. Bonardi è stato ucciso da una palla in fronte; i compagni lo videro cadere, ma quando tornarono per recuperare il corpo, di Bonardi non c’era traccia.
Con ogni probabilità, qualche sciacallo lo aveva trascinato altrove per derubarlo dei pochi averi che aveva con sé. Il corpo non fu mai trovato.
Una lettera accompagna gli oggetti, con affermazioni che inquietano il sindaco. Tra le altre: «Chi muore per la patria ha diritto in ogni tempo al rispetto, sia pure un ideale la causa che lo spingeva…» con la parola ideale vergata in una sorta di corsivo. E nel 1910 per strada una sincope cardiaca stronca la vita di Giuseppe Cesare Abba, il cronista dei Mille, ligure di origine, bresciano di adozione dal 1884 quando ottiene una cattedra per l’insegnamento in città.
E altri ancora compaiono nel libro di Brogi, ma lo spazio impone una selezione. Memoria e gratitudine invece no, quelle abbracciano indistintamente tutti i garibaldini.
William Geroldi