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Migranti di Brescia, seconda giornata sul sagrato del Duomo

Da Bresciaoggi del 23.5.11  la seconda giornata di lotta dei migranti sul Sagrato del Duomo:

Immigrati, la palla torna alla prefettura

IL PRESIDIO. Secondo giorno di pacifica occupazione del sagrato del Duomo (con il consenso del vescovo) da parte dei migranti che chiedono il permesso di soggiorno. I presidianti rilanciano la richiesta di poter incontrare oggi il prefetto Bragaglio (Pd) appoggia l’appello Lombardi (Sel): «Hanno ragione»

23/05/2011

Tornare a casa ad abbracciare la famiglia: è la prima cosa che vorrebbero fare appena ottenuto il permesso di soggiorno i migranti che da sabato pomeriggio occupano i gradini del Duomo, con il permesso del vescovo, dopo il mancato incontro con il prefetto. Un desiderio comprensibile, per giovani immigrati (28 anni l’età media) da tempo lontani da casa, alcuni al punto da non aver potuto assistere al funerale dei propri genitori o di non aver conosciuto i nipoti nati dopo la loro partenza per l’Italia.
ARUN, il pachistano della gru, non vede madre e sorelle da 8 anni. E racconta: «Ogni volta che telefono mi chiedono subito: il permesso? allora torni? E io mi vergogno moltissimo».
Abdul, marocchino, saldatore specializzato, manca da casa da 9 anni, come Mohammed, egiziano, che oltre ai genitori ha una fidanzata ad attenderlo. Aron, il rappresentante della comunità senegalese, il permesso ce l’ha, ma per due anni, dal 2000, quando è arrivato, al 2002, è stato un invisibile. Poi, avuto il prezioso documento, ha resistito alla tentazione di tornare subito a Dakar, dove ha la famiglia: «Prima – spiega – dovevo trovare un lavoro in regola e mettere da parte un po’ soldi, perchè non puoi tornare a mani vuote: daresti una delusione ai parenti che non conosono le difficoltà che ci sono in Italia».
Il lavoro regolare è il secondo desiderio che esprimono i migranti in presidio: «Dal 2005 lavoro in nero nelle fabbriche del Bresciano, ai padroni fa comodo perché possono pagare poco una persona qualificata come me, ma così non ho diritto alle ferie pagate, alla malattia, alla pensione, a niente… – lamenta Abdul -: quando avrò il permesso non so se questo datore mi terrà; se non lo farà ne cercherò un altro lavoro».
ABDUL tocca un tasto dolente, le connivenze di molti datori di lavoro, che speculano sul lavoro nero, di migranti e non. «Ho perso tante buone occasioni per avere un impiego perché non ho il permesso – racconta Makam Ba, uno dei senegalesi in lotta dal primo giorno -. Io farei qualsiasi cosa, anche se mi piacerebbe diventare maestro o giornalista. Appena avrò il permesso andrò a casa. Poi tornerò per trovare un lavoro regolare».
Avere il permesso significa anche poter uscire di casa, senza la paura di essere fermati «e magari morire a causa di questo fermo, come è successo a El Haji», dice Aron, ricordando il senegalese morto in dicembre dopo essere stato condotto nella caserma dei carabinieri di piazza Tebalado Brusato perchè clandestino.
QUESTI I DESIDERI che i presidianti del Duomo raccontano a chiunque abbia voglia di sedersi con loro, per capire il perché di gesti eclatanti. A chi ha meno pazienza passano un volantino che spiega le ragioni della lotta. Al loro fianco ci sono alcuni bresciani, che distribuiscono altri volantini in cui spiegano perché sono solidali e chiedono alla Prefettura di «adeguarsi subito all’indirizzo del Consiglio di Stato, revocando i provvedimenti di rigetto già adottato e non pronunciandone di nuovi». La stessa richiesta è ribadita da alcuni politici di centrosinistra, che ieri si sono presentati in piazza e hanno espresso apprezzamento per la posizione del vescovo. «I migranti hanno ragione a pretendere il permesso, una ragione che a Brescia non è ancora stata ancora riconosciuta a causa dell’ottusità delle istituzioni», ha detto Mirko Lombardi, coordinatore di Sel. Mentre Claudio Bragaglio, consigliere comunale del Pd, ha reso esplicita una forte sollecitazione «affinché il prefetto mostri disponibilità al riesame delle pratiche sulla base del pronunciamento del Consiglio di Stato, al fine di non dover subordinare l’applicazione della sentenza ai ricorsi al Tar». Da parte loro i presidianti sono tornati a richiedere un incontro urgente in Prefettura, per oggi stesso, e non alla fine della settimana, assieme a diocesi e sindacati.

Irene Panighetti

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