Cadaveri di eritrei ed etiopi crivellati di colpi di arma da fuoco stanno riaffiorando sulle coste libiche. A darne notizia è Moses Zerai che dirige in Italia l’agenzia Habeshia dei rifugiati eritrei. I cadaveri riconosciuti da parenti, appartengono agli immigrati che si erano imbarcati a Tripoli nella notte tra lunedì 22 e martedì 23 marzo: 335 profughi sub-sahariani, tra cui anche donne e bambini, per la maggior parte etiopi ed eritrei, erano salpati dalla Libia, fuggendo dalla persecuzione, nella speranza di raggiungere le coste italiane. Del barcone, guidato da uno scafista, si erano perse le tracce pochissime ore dopo la partenza, e un familiare di due dei passeggeri aveva lanciato l’allarme contattando l’Agenzia Habeshia e il Gruppo EveryOne, che subito si erano attivati per chiedere alle autorità internazionali il pattugliamento delle acque e l’intervento dell’Alto Commissario ONU per i Rifugiati. “Sette corpi sono all’obitorio di Tripoli, altri già seppelliti – spiega don Moses Zerai di Habeshia-, quattro erano crivellati da colpi di arma da fuoco”.
“Questa mattina, a distanza di due settimane di inerzia e indifferenza da parte di istituzioni e autorità internazionali, ci è giunta notizia da don Mussie Zerai che il mare sta restituendo i corpi di quei migranti, crivellati da colpi di arma da fuoco”. Lo denunciano Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, co-presidenti dell’organizzazione umanitaria internazionale EveryOne. “Sembrerebbe infatti che il natante che trasportava i profughi sia stato attaccato nel Mediterraneo, e che gli spari siano stati talmente immediati e intensi da non consentire ai migranti di lanciare l’allarme attraverso il telefono satellitare che era con loro a bordo” spiegano. “Si tratta di una vicenda oscura, che traccia uno scenario assolutamente drammatico su cui la NATO, di concerto con le Nazioni Unite, deve fare chiarezza. Chiediamo” proseguono gli attivisti del Gruppo, “al Ministro italiano degli Esteri Frattini di riferire in Parlamento sulla vicenda, nonché al Parlamento europeo di istituire una commissione d’inchiesta europea. Riteniamo inoltre fondamentale che il Consiglio d’Europa, l’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani e l’Alto Commissario ONU per i Rifugiati esercitino pressioni affinché sia convocata dagli Stati europei la Commissione internazionale d’inchiesta in ambito umanitario con sede a Berna (http://www.eda.admin.ch/eda/it/home/topics/intla/humlaw/ihci.html), la cui segreteria è diretta dal Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) della Svizzera, ovvero lo Stato depositario della Convenzione di Ginevra e dei protocolli aggiuntivi. E’ urgente individuare i responsabili di tale massacro, che non solo si configura come una grave violazione del diritto internazionale umanitario, ma si configura come crimine contro l’umanità, così come inteso dallo Statuto della Corte Penale Internazionale de L’Aja”.
EveryOne critica poi l’assenza dell’Europa nell’impiego di uomini e mezzi per il pattugliamento delle acque internazionali tra Italia e Libia, anche in relazione all’ultima tragedia che ha visto naufragare questa notte un barcone con 200 somali ed eritrei a bordo, di cui solo 47 sono stati tratti in salvo. “Si tratta di tragedie del mare” proseguono Malini, Pegoraro e Picciau, “che mettono in luce la mancanza di piani di soccorso per i profughi. Sarebbe necessario uno spiegamento di mezzi – sia marini che aerei – dedicati e strumenti moderni di soccorso, visto il flusso di migranti che in queste ore si sta mettendo in viaggio, nonostante le avverse condizioni meteo: mancano sistemi avanzati di monitoraggio e non esiste una logistica in grado di intervenire con urgenza ed efficacia nel momento in cui si verifica l’avaria di un natante o viene lanciato un SOS. Sembra che l’Europa sia concentrata più su azioni mirate a fermare il flusso di profughi, aggirando la Convenzione di Ginevra, che sulle dovute politiche umanitarie”.