Questa anticipazione ieri sul Corriere del mio libro “La lunga notte dei Mille” in uscita il 5 maggio da Aliberti editore. Paolo Fallai si è dedicato alla mia insania di rincorrere la vita dei garibaldini dopo la spedizione del 1860, un lavoro che però prima o poi qualcuno doveva fare. Ecco l’articolo che segnalo insieme a quello di Fabio Isman uscito sempre ieri sul Messaggero nell’inserto dedicato al 150°.
La notte dei Mille
In un libro di Paolo Brogi le storie dei volontari di Garibaldi dopo l’impresa
di PAOLO FALLAI
Non si capisce se ha prevalso lo
spirito del cronista nella ricerca storica
o l’ambizione da storico sulla
tecnica del cronista. Senza dubbio,
andare a cercare che fine hanno fatto
le mille camicie rosse di Garibaldi,
dimostra quanto Paolo Brogi sia
simpaticamente matto. Il risultato
è un libro che sta per uscire per le
edizioni Aliberti dal titolo «La lunga
notte dei Mille», con prefazione
di Gian Antonio Stella. Perché, diciamo
la verità, di libri sull’impresa
di Quarto son pieni gli scaffali: ma
dopo? Che fine hanno fatto i Mille
dopo la spedizione del 1860?
Paolo Brogi, giornalista con una
lunga esperienza a Reporter, L’Europeo
e al Corriere della Sera, è andato
a cercarli. Il risultato è che la
maggior parte di loro continuò «a
combinarne di tutti i colori». Racconta
Brogi: «Chi finì in Patagonia
e chi a Sumatra. Un gruppo di lombardi
deportato in Siberia, altri sbaragliati
in Africa, in molti gli emigrati
all’estero. Un direttore di giornale
assassinato dagli anarchici, parecchi
chiusi in manicomio, chi si
suicidò in un fiume e chi con una
rivoltellata, un ungherese ingegnere
tentò invano di realizzare grandissimi
canali, un tiratore scelto
bergamasco si ridusse a cacciar gatti
e un suo compaesano risalì l’Italia
con un teatrino di marionette».
Uno di loro, Luigi Pianciani, fu il
primo sindaco dopo la Breccia di
Porta Pia e la liberazione della città:
dal 16 novembre del 1872, e per diciotto
mesi, Pianciani fu protagonista
di scontri memorabili con il ministro
Quintino Sella. Comune contro
governo. E in particolare sull’allargamento
della città e l’urbanistica.
Tanto che sembra di sentir parlare
di ieri l’altro, invece che di 140
anni fa. Sentiamo come lo racconta
Brogi: «Pianciani, che vuole trasformare
la città da “magnifica capitale
da sagrestia” in una struttura vera
che risponda ai “bisogni della civiltà
moderna” vuole estendere concretamente
l’agglomerato urbano
oltre il Tevere e Castel Sant’Angelo,
in quella zona che si chiama “Prati
di Castello”. Punta anche al commercio
e all’industria, “grandi sorgenti
del progresso dei popoli”.
“Che cosa è Roma ora? – si chiede il
neo sindaco -. Una ricca locanda da
forestieri, essa non ha industrie,
non ha risorse…”. Pianciani elabora
il piano regolatore. Prevede nuove
costruzioni su 306 ettari per un incremento
di 150 mila abitanti. E
poi insediamenti industriali a sud a
partire da Testaccio, espansione residenziale
a est ed ovest. Prati di Castello
rientra in un piano speciale
di ampliamento». Non tutto quello
che Pianciani programmò fu realizzato.
Ma certo lui è uno degli esponenti
che meglio fa capire cosa ha
significato essere «garibaldini»: un
esercito di idealisti e bastian contrari,
dibattuto tra colonialisti e anticolonialisti,
interventisti e pacifisti,
ministerialisti e aventiniani. In una
frase, «la migliore gioventù di allora
».
L’ultimo dei Mille morì nel 1934.
Ma quanti ne ha trovati Paolo Brogi?
«La ricerca si è estesa a circa metà
deiMille, poi ne ho scelti una sessantina
per seguirli nelle loro avventure
anche se nel libro se ne nominano
duecento». E chi ti ha colpito
di più? «Edoardo Herter, medico,
trevigiano, laureato a Pavia, che
pochi anni dopo la spedizione prende
e se ne va in Patagonia a fare il
chirurgo di frontiera, insomma una
sorta di missionario laico. Su di lui
c’erano all’inizio solo due righe di
biografia, striminzita. Nel senso
che non era chiaro neanche l’anno
della morte. Il fatto più divertente è
che l’Abba nella sua Storia dei Mille
scritta a caldo lo dava per morto a
Calatafimi. Mi ha colpito – risponde
Brogi – la grande distanza che aveva
voluto mettere tra sé e il suo passato.
In realtà poi ho scoperto che
in Argentina erano emigrati anche
parecchi altri dei Mille facendo un
po’ di tutto, dal pizzicagnolo all’ingegnere
».
Ma perché nessuno storico se ne
è occupato prima? «Bella domanda.
È la stessa da cui è partita la mia ricerca.
Forse le persone intanto sono
importanti in quanto coincidono
con gli avvenimenti cui partecipano.
Poi scende evidentemente
l’oblio». Scrive Gian Antonio Stella
nella prefazione: «Brogi racconta la
grande avventura di tanti giovani
pieni di entusiasmo che vollero a
tutti i costi fare l’Italia. E che certo,
nella memoria di tutti noi, meritano
qualcosa di più che una scritta
col nome e il cognome incisa su
una lastra con un secolo e mezzo di
ritardo al molo di Quarto».
Sarà un bel matto, Paolo Brogi,
ma è grazie a queste pazzie che possiamo
non fermarci davanti alle ricostruzioni
ufficiali, non stancarci
di fare domande e cercare risposte.
Difendere la memoria del nostro
giovane Paese per cercare di immaginarne
il futuro.
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Corriere della sera 13.3.2011