Padova, l’assessore leghista alla provincia brucia denaro pubblico per un calendario in cui il 25 aprile e il I maggio risultano giorni qualunque. La lettera di protesta di Fabio Pagini Rizzato, uno studente padovano.
LETTERA DI UN GIOVANE STUDENTE PADOVANO SUL CALENDARIO
2011, TAROCCATO DALLA PROVINCIA DI PADOVA
Sono sconcertato dall’ennesima idiozia a opera dell’Assessorato all’identità
veneta del leghista Comacchio. Mi riferisco al calendario prodotto dalla
provincia e consegnato a tutte le amministrazioni comunali perché venga
distribuito in tutte le scuole. In questi calendari mancano le festività del 25
aprile, Festa della Liberazione, e il primo maggio, la Festa dei Lavoratori.
Siamo di fronte a qualcosa di raro squallore politico, l’ennesima azione
grave e irrispettosa nei confronti dell’intero Paese. Andando con ordine
siamo anzitutto di fronte ad un ignobile spreco di denaro pubblico in un
momento di crisi economica. Nulla vieta alla Lega di stampare a spese
proprie un calendario e di spedirlo a chicchessia ma un assessore
provinciale non è certo un uomo di partito, bensì un funzionario pubblico
che non può permettersi tali orrori proprio in virtù del prestigio e
dell’importanza della carica che ricopre. Le istituzioni sono anche mie, i
soldi sono anche miei e sarei consolato dal fatto che i miei diritti e i miei
soldi fossero rispettati. Il secondo fatto spregevole è che con questa grave
mancanza si offendono i nostri unici eroi e la loro memoria, morti per
liberarci dai nazifascisti, e quella di quanti lavorano o sono morti per il
lavoro. il 25 aprile è l’evento fondante del nostro vivere civile, quello che
fa di noi un popolo indipendente e libero. Infatti con la Resistenza
abbiamo conquistato la nostra indipendenza e la nostra unità nazionale. Per
seicento giorni l’Italia fu spaccata in due e la Resistenza fu in primis
volontà di riunificare nella libertà e nella democrazia quanto viltà di re,
pavidità di politici, viltà di alti comandi militari e illusione di dittatori al
tramonto avevano spezzato. Ben segnate nel calendario imputato troviamo
il 28 febbraio, il ”Bati marso”, il 25 marzo la ”terza edizione della Festa
del Popolo veneto” e ancora la ricorrenza della mamma o dei nonni.
Mancano all’appello solo quelle due ricorrenze che contengono valori
fondanti. Bisogna ricordare alla giunta provinciale che una pianta muore se
viene privata delle sue radici, proprio ciò che si sta facendo in Italia dalla
più piccola amministrazione allo stato centrale. Si sta portando avanti un
revisionismo codardamente nascosto ma strisciante. Tuttavia se qualcuno
deve ricorrere a questi mezzucci per richiamare la propria identità vuol
dire che l’ha già persa. Ahimè è doloroso constatare che questa legislatura
provinciale di centro-destra finora sia riuscita a distinguersi a livello
nazionale, e non solo, già ben poche volte ed il motivo sono, nei casi più
noti, dichiarazioni offensive e gratuite contro il diverso. La sostituzione
della Liberazione con la Festa di San Marco non rispetta l’identità veneta
anzi la infanga poiché tale giunta non sa, non ricorda o non ha studiato
nulla riguardo le medaglie d’oro al valore militare conferite alla provincia
di Pordenone, alla città di Vicenza, di Belluno, di Treviso, di Bassano e
all’Università di Padova per il contributo alla Resistenza. L’assessore
Comacchio si è difeso in maniera stravagante dicendo che le feste
mancanti si possono segnare in penna, e che nulla vieta agli insegnanti di
affrontare in classe l’argomento delle feste nazionali: Il commemorare
l’identità nazionale quindi non spetterebbe quindi alle istituzioni bensì alla
discrezionalità dell’insegnante, altro pessimo esempio di educazione civica
dal mondo della politica. C’è da chiedersi cosa penserà il resto d’Italia e
d’Europa di una provincia che dimentica la ricorrenza che ne fonda le
libertà, che dimentica chi lavora e chi ha versato il sangue per la
democrazia, con tali azioni si dipinge il popolo veneto come polentone
ignavo della propria storia e cultura. Stando al principio del “chi sbaglia
paga” la punizione esemplare per questo assessore dovrebbe essere
scrivere 50 mila volte “Viva l’Italia”, una per ciascuna stampa e su ciascun
calendario distribuito. Ma la caduta di stile ha toccato livelli
inimmaginabili con le dichiarazioni dell’assessore regionale Maurizio
Conte (Lega), il quale non ha dubbi sul fatto che la festa di San Marco,
all’interno di un calendario promosso dall’Assessorato all’Identità veneta,
ha priorità sulla Liberazione, mentre afferma che per il primo maggio
dovrebbe esserci un almanacco che riporta la festa del lavoratore tutti i
santi giorni. Nei fatti però i due leghisti dal loro calendario trovano
opportuno cancellare l’unica ricorrenza per celebrare chi si suda lo
stipendio lavorando duro e onestamente, quelli che hanno pagato il
calendario: la riprova che per questo tipo di politici tra il dire e il fare c’è
un mare profondo. Molto c’è da cambiare e rivedere ma non credo che si
debba iniziare liberandosi da celebrazioni importanti come queste. Pare
che le cariche all’interno dell’amministrazione provinciale vengano
assegnate in base al livello culturale del soggetto, in modo inversamente
proporzionale; non è negando qualche cosa che la si fa sparire ma si tratta
solo di una questione di mancanza di rispetto per chi onora quelle date. La
resistenza partigiana ha imbracciato le armi sapendo che la ricompensa
sarebbe stata per loro la morte e un futuro migliore a chi veniva dopo di
loro, qualcun’altro invece fucili e baionette le ha solo promesse, insieme a
tutte le altre cose che non ha mantenuto. Ma per questi non ci sarà
nemmeno il carbone nel giorno della Befana, poiché servirà ai giovani
italiani per festeggiare come si usa ogni 25 aprile lungo gli argini dei
fiumi, spensierati, entusiasti della vita, pieni di sogni da realizzare grazie al
sacrificio di nonni, bisnonni e a sconosciuti: festeggeranno quindi coloro
che hanno permesso loro di essere liberi e ad altri di dire e fare certe
stupidaggini. Non possiamo non indignarci di fronte a chi sputa sul passato
e sul futuro dell’Italia nell’anno del suo 150esimo anniversario anche
perché identità veneta e italiana si possono completare senza che l’una si
scontri con l’altra. Nel giorno di San Marco, vige l’usanza da parte degli
uomini di offrire alle donne un bocciolo di rosa rossa, il bòcolo. Tale
usanza nasce da una leggenda: una bionda fanciulla di nome Maria,
figlia di un Doge, si era innamorata di Tancredi. Il sentimento dei due
era osteggiato dal Doge, che non ne avrebbe mai permesso il
matrimonio. Maria, pertanto, chiese a Tancredi di andare a combattere
contro i turchi e coprirsi di gloria così il padre non si sarebbe più
opposto al loro amore. Tancredi partì e la fama delle sue gesta si sparse
presto per il mondo. Un giorno, però, arrivarono a Venezia alcuni
cavalieri Franchi guidati da Orlando e annunziarono a Maria la morte
del giovane. Era caduto sanguinante sopra un rosaio, ma prima di
morire aveva colto un fiore e aveva pregato Orlando di portarlo alla sua
amata. La fanciulla prese la rosa tinta ancora del sangue del suo
Tancredi. Il giorno dopo, in cui ricorre la festa di San Marco, fu trovata
morta con l’insanguinato fiore sul cuore. Da quella volta il bocciolo di
rosa, simbolo dell’amore che sta per aprirsi alla vita e al sole, viene
offerto alle donne. Le due feste che si sovrappongono alla data del 25
aprile hanno in comune tre elementi: il sangue, l’amore e un fiore.
Anche la famosa canzone del partigiano parla di un uomo che
imbraccia le armi: lo fa per amore di lei e dell’Italia, ma questo amore è
spezzato dalla guerra e questa spezzerà anche la sua vita. Anch’egli,
come Tancredi, salutandola le lascerà di sé lo stesso ricordo, il fiore del
partigiano. Se si negherà spazio a quest’ultima festa per dare spazio alla
seconda non ne avrà vantaggio alcuno l’identità veneta, anzi, si
disonoreranno entrambe le ricorrenze.
5 gennaio 2011
Fabio Pagini Rizzato