Jan Palach, che si dette fuoco in piazza San Venceslao a Praga contro i carri armati russi e la fine della primavera praghese. Gennaio 1969.
In questi giorni in tutto il bacino del Mediterraneo sono in molti a ripetere quel tragico gesto di protesta, immolandosi. Anche oggi si è appena dato fuoco a El Oued un povero ambulante tunisino padre di sei figli. E’ l’arma della disperazione. Ma è anche un grido di libertà.
Palach allora, ma lo sapemmo con gran ritardo, non era l’unico né fu il solo a darsi fuoco in Cecoslovacchia. I suicidi di protesta, molteplici, furono però accuratamente oscurati.
Manifestammo per Palach, ricordo, a Pisa. Andammo a dare un volantino alle fabbriche pisane parlando agli operai di quel gesto di libertà. Alla Saint Gobain avemmo noi militanti di estrema sinistra problemi concreti con la cellula del Partito Comunista che ci trattò da provocatori. Loro erano assolutamente fisovietici, noi l’opposto. Cercarono anche di usare violenza, li contrastammo. Tutto qua.
Solo per ricordare le cose che sono state.
Chi era Jan Palach oggi qui da noi rivendicato, temo, da studenti di estrema destra? Era uno studente di filosofia, poco più che ventenne, iscritto all’università Carlo di Praga, la famosa Univerzita Karlova v Praze detta anche Carolina. Nel tardo pomeriggio del 16 gennaio 1969 Jan Palach si recò in piazza San Venceslao e si fermò ai piedi della scalinata del Museo Nazionale. Si cosparse il corpo di benzina e si appiccò il fuoco con un accendino. Rimase lucido durante i tre giorni di agonia. Ai medici disse d’aver preso a modello i monaci buddisti del Vietnam. Al funerale il 25 gennaio parteciparono 600 mila persone, provenienti da tutto il Paese.