Giornata della memoria: in Sinagoga
il racconto dei sopravvissuti romani
Assente perchè convalescente Piero Terracina, gli altri
terranno vivo il ricordo della tragedia della Shoà
Giornata della memoria: in Sinagoga
il racconto dei sopravvissuti romani
Assente perchè convalescente Piero Terracina, gli altri
terranno vivo il ricordo della tragedia della Shoà
Il Tempio Maggiore, la sinagoga di Roma |
ROMA – Giuseppe Di Porto, matricola 167988. Shlomo Venezia, 182727. Mario Limentani 42230… Giovedì sera alle 20 dentro il Tempio Maggiore, il nome con cui gli ebrei chiamano la Sinagoga del Ghetto, un gruppo di sopravvissuti della Shoà racconta ciò che è stato. Sono sempre di meno, anno dopo anno, da poco se n’è andato Lello Perugia, il Cesare della «Tregua» di Primo Levi, scomparso il 24 novembre. E qualche altro stasera non sarà presente per qualche acciacco, come Piero Terracina convalescente a cui vanno tutti i nostri auguri.
Presentati da Marcello Pezzetti, del centro documentazione ebraica, sono previsti oltre a Di Porto, Venezia e Limentani, Giuseppe Varon che viveva a Rodi da cui fu strappato giovanissimo. E ancora Milena Zarfati, Rubino Salmoni, Rosa Mallel,Sabatino Finzi, Edith Bruck, Lello Di Segni, Donato Di Veroli, Charles Farkas, Sami Modiano. Sarà un momento raro, affidato alla voce di questi superstiti che ancora una volta raccontano l’orrore, tutti insieme.
Una mostra sulla Shoà nei locali della Sinagoga |
SABATINO E LELLO – Tra i più giovani deportati romani c’erano Sabatino Finzi e Lello Di Segni. Sabatino Finzi è l’unico della sua famiglia ad essere tornato. Lello Di Segni invece ha ricordato spesso l’orrore di Varsavia dove l’avevano spedito a scavare nelle macerie del Ghetto. «Avevo quindici anni – racconta – e dopo Auschwitz dove lasciai i miei parenti fui trasferito a Varsavia, nel Kl Warshau, il lager allestito sulle macerie del Ghetto dove si era svolta la resistenza degli eroici ebrei del Ghetto. Mi avevano messo lì a scavare e mi ritrovavo tra le mani forchette, bicchieri, coltelli, oggetti di uso quotidiano che erano stati seppelliti insieme agli ebrei che li avevano usati».
Deportazione degli ebrei nel ghetto di Roma, ottobre ’43 |
DEPORTATA DODICENNE – Ma Edith Bruck era ancor più giovane: fu deportata appena dodicenne ad Auschwitz, dove ha visto morire i genitori e parecchi parenti. Birkenau per Shlomo Venezia addetto a trasportare cadaveri, Monowitz perGiuseppe Di Porto costretto a trasportare tubi, Mauthausen per Mario Limentani spedito poi in una cava «dove bisognava mettersi sulle spalle un masso di granito, che pesava minimo venticinque chili, poi si doveva percorrere la scalinata in fila per cinque. Lì morivano tutti i giorni duecento, duecentocinquanta persone perché bastava perdere l’equilibrio e si cadeva. Finito il nostro lavoro dovevamo prendere i cadaveri, metterceli sulle spalle e andare su…».
«La pietà non esisteva, quando toccherà a me?», questo ricorda di quel tempo infinito ad Auschwitz Rubino Salmonì, matricola A 15810. «Io nun me chiamavo più Zarfati Milena, me chiamavo co questo numero, sechsundsiebzigachthundertdreiundfünfzig, che praticamente in tedesco si legge prima il 6, poi il 7, poi l’8, poi il 3, poi il 5. Questo me lo ricordo bene… poi tutto l’altro tedesco l’ho dimenticato».
Una celebrazione della Giornata della memoria con Sholomo venezia e Piero |
PESARE 27 CHILI – Nel giorno della liberazione c’era chi pesava 27 kg, come Mario Limentani. «Gli americani non sapevano dove mettere le mani. Vedevano camminare noi come scheletri, non sapevano come prenderci per paura di spezzarci». Donato Di Veroli: «Sono stato liberato il 29 aprile del 1945 da Dachau, ma sono passato attraverso vari campi. Ho vissuto ad Auschwitz, ma quando sono arrivati gli alleati, non ero già più lì. Ho sofferto per altri tre mesi e mi sono ammalato al polmone a causa del deperimento».
Giuseppe Di Porto: «Il 18 gennaio, i nazisti decidevano scappare e di evacuare i detenuti. Iniziava una lunga marcia della morte. Dopo tre giorni di cammino, molti uomini erano già morti per il freddo o per le violenze subite. Ricordo un mattino molto freddo. Ad un tratto, i tedeschi si fermarono in una grande radura. Dopo avere accerchiato il nostro gruppo, iniziarono a sparare all’impazzata. Vidi mio cugino accasciarsi. Una pallottola lo raggiunse in fronte. Iniziai a correre senza fermarmi e senza guardare indietro…». E Sami Modiano: «La mia liberazione è avvenuta il 27 gennaio 1945 ad Auschwitz. Ricordo esattamente tutto: avevo compiuto quattordici anni ed ero uno scheletro vivente, non ce la facevo a stare in piedi ed ero tra i cadaveri. I tedeschi ci avevano abbandonati nel campo di concentramento perché avevano capito che stavano arrivando gli alleati. Per qualche giorno non abbiamo visto nessuno, eravamo in attesa di morire perché faceva freddo e non avevamo cibo. Eravamo stremati. Molti sono deceduti in quel periodo…».
Shlomo Venezia (foto Jpeg) |
CARRI ARMATI E VIVERI – «Ricordo che sono entrati due carri armati – racconta Shlomo Venezia – : nel primo c’erano italo americani che parlavano in siciliano e nessuno riusciva a capirli; nel secondo c’erano dei greci ed io, che ho quelle origini, ho potuto comprendere quello che ci dicevano. Ci hanno rassicurati e dato coraggio. Poi ci hanno distribuito dei viveri in scatola, che non andavano bene per gente che non mangiava quella roba da una vita. Molti li hanno mangiati e sono morti per la dissenteria. Io con altri compagni abbiamo trovato in cucina delle patate e ci siamo alimentati con quelle e della carne. Dopo qualche giorno ci hanno spostato dal campo perché è scoppiato il tifo e gli americani sono stati costretti a bruciare tutto…».
Paolo Brogi
27 gennaio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA