Amnesty International, 2009: “Nel mese di ottobre, un giudice federale degli Stati Uniti ha ordinato il rilascio sul suolo statunitense di 17 uomini di etnia figura ancora rinchiusi senza accusa a Guantanamo dal 2002. Il governo non li considera più “nemici”, ma essi non possono essere rimpatriati in Cina in quanto esposti al rischio di subire torture o la pena di morte.
Il governo ha presentato appello contro la decisione del giudice, richiedendo di poter trattenere gli uiguri a Guantanamo per il tempo necessario a trovare un paese terzo disposto a ospitarli, una soluzione ignorata per anni dalle stesse autorità….”.
La pazzesca vicenda dei detenuti uiguri di Guantanamo non si è ancora del tutto conclusa. Sono ventidue gli uiguri cinesi ingiustamente rinchiusi per alcuni anni nella prigione statunitense come terroristi e poi ”liberati” con estrema difficoltà . Oggi sono sparsi ai quattro angoli del globo, in pieno Oceano Pacifico nell’arcipelago della Micronesia di Palau, nelle Bahamas ai Caraibi (quiattri “liberati” qui a lato), in Svizzera e nell’Albania europee, con un’ulteriore passaggio per uno di loro in Svezia. Una diaspora che ha pochi precedenti e che potrebbe essere intitolata: “Il difficile smaltimento dei 22 presunti terroristi uiguri cinesi che gli Stati Uniti non sapevano bene a chi rifilare…”.
Partiamo dall’inizio./ Al principio dunque – siamo nel 2002 – c’è l’accusa, ridicola come pian piano emergerà, di terrorismo rivolta a un gruppo di cinesi uiguri acciuffati tra Afghanistan e Pakistan da cacciatori di teste e venduti agli Usa. Siamo nel 2002, la ferita dell’011 settembre è ancora molto viva, gli uiguri vanno bene nel ruolo di terroristi.
Che cosa è successo? A Tora Bora, in piena montagna afgana, i bounty killers pakistani hanno avvistato un giorno un ghiotto gruppo di cinesi che dal ’99 ha lasciato il natio Xiangsii e dopo aver fatto tappa a Bishkek in Kirghizistan è penetrato in Afghanistan. Poco importa dove vanno questi uiguri in fuga dal loro paese, che chiamano Turkestan e che il potere di Pechino tiene sotto il tallone. I bounty killers quel giorno hanno fatto caccia grossa, portano le 22 prede a Kandahar e poi cominciano a trattarne la vendita agli americani. Con centomila dollari, cinquemila a testa per prigioniero, l’affare è fatto. Di lì a poco tempo i 22 finiscono a Guantanamo, Cuba, nei famigerati Camp Delta e Camp Iguana. Ci resteranno alcuni fino al 2006 e altri fino al 2009. Poi alla fine verranno tutti liberati, Obama è partito da loro per sfoltire Guantanamo che prima o poi vorrebbe chiudere.
A Guantanamo i 22 uiguri, interrogati anche alla presenza di agenti cinesi, non hanno rivelato nulla. Insomma, per l’intelligence americana, è un vero fiasco. Per forza, sono uiguri qualunque. Ecco allora prendere corpo il piano per disfarsene. Sembra facile, si rivelerà invece lo smaltimento più difficile degli ultimi anni.
Sono ben 114 i paesi interpellati in giro per il mondo, il no all’accoglienza è praticamente unanime: tutti, dalla Germania all’Australia passando per la Repubblica delle Maldive, hanno terrore delle reazioni della Cina Popolare che non ne vuol sapere di uiguri. Quella minoranza di dieci milioni di islamici sunniti asserragliati nel cuore continentale della Cina fa andare in bestia la cupola cinese di Pechino e nel 2009 l’oligarchia al potere lo dimostrerà spegnendo con 156 morti la minirivolta della regione.
Poi ecco maturare una prima occasione, è l’Albania ad offrirsi per i primi cinque uiguri da ospitare. E’ il 2006, Ahmed Adil, Abu Bakr Quassim e Adil Ramakian (vedi la sua storia raccontata in un altro post) sono tra i primi cinque uiguri che nel gennaio del 2006 sbarcano a Tirana. L’Albania spera così di rendersi simpatica, spunta a un ingresso nella Nato. I cinque finiscono in un campo, l’unico che riesce a raggiungere un altro paese (la Svezia) sarà nell’arco di tre anni Adil Ramakian (35 anni): l’uomo coglie l’occasione di un invito per una conferenza sui diritti umani in Svezia, là ha una sorella, appena giunto chiede asilo che all’inizio gli viene negato e poi dopo una lunga battaglia concesso. Gli altri quattro prendono strade separate: tre trovano lavoro nella ristorazione, il quarto studia computer science nella filiale di un’università americana in Albania.
Bisogna arrivare al giugno 2009 per tornare a parlare dei restanti uiguri, che intanto sono rimasti “ospiti” di Guantanamo.
In giugno le trattative con statio e starelli partoriscono novità: quattro uiguri se ne andranno alle Bahamas, altri 17 a Palau in Micronesia.
I quattro delle Bahamas sbarcano effettovasmente di lì a poco nella destinazione ipotizzata, gli altri 17 si riducono poi a soli sei e devono aspettare novembre.
Alle Bahamas arrivano dunque Salahidin Ablehet (32 anni), Abdulla Abduqadir (30), Helil Mamut (31) e Abikim Turahun (38). E’ l’isola di Saint George, resort paradisiaco dell’Atlantico, ad accoglierli. Loro ne approfittano per fare subito un bagno nell’0oceano. “E’ stato il piu’ bel giorno della mia vita”, dice uscendo dalle acque Salahidin Ablehet Abdulahat. Che cosa si ripromettono di fare? Lavorare in qualche bar o caffè…
Ed eccoci ora al novembre 2009. E’Palau ad accogliere gli altri sei uiguri. Sono Ahmad Tourson, Abdul Ghappar Abdul Rahman, Edham Mamet, Anwar Hassan, Dawut Abdurehim e Adel Noori. Ora Palau è un posto piuttosto remoto. A 800 km ad est delle Filippine, in mezzo al Pacifico tra Okinawa al nord e Papua sotto, è un piccolo arcipelago (otto isole e 250 isolotti) ex Usa diventato indipendente nel 1994. Conta 19 mila abitanti, 500 dei quali islamici.
Palau però è anche uno dei 23 paesi nel mondo che non riconoscono la Cina Popolare, ma solo Taiwan. Ad accogliere i sei uiguru è stato dunque il presidente Johnson Toribiong, che ha definito il suo un «gesto umanitario», per aiutare gli uiguri a rifarsi una vita, nonché un atto di ringraziamento nei confronti «del nostro migliore amico e alleato (gli Usa, ndr) per tutto ciò che ha fatto per Palau». Ma a mostrare concretamente tutta la propria gratitudine saranno gli Usa che, secondo quanto riferito all’AssociatedPress da funzionari dell’Amministrazione democratica, ricompenseranno con 200 milioni di dollari in aiuti più altre forme d’assistenza ancora da concordare la repubblica presidenziale.
Intanto i sei uiguri si sono stabiliti tutti insieme in una casa a Koror, la capitale. E hanno cominciato a studiare inglese. Uno di loro però ha un bel problema: c’è un’uigura che conosce e ama, solo che lei sta in Australia. Abdul Ghappar Abulahman – questo il nome dell’innamorato – vuole andare in Australia, le ultime notizie dicono che ancora non ce l’ha fatta.
E infine ci sono anche i due fratelli Bahtiyar e Arkin Mahnut. Loro sono riusciti a farsi accogliere dalla Svizzera, sono finiti nel Giura.
Morale. Intervistati gli uiguri in genere mostrano una gran paura della Cina, che peraltro non perde occasione per minacciare tuoni e fulmini. Alcuni di loro hanno riferito di essere stati torturati, a Guantanamo, anche da cinesi. Da lìse ne sono usciti con barbe nere lunghissime, qualcuno di loro ce l’ha ancora. Non sappiamo come siano stati investiti i centomila dollari dai bounty killers pakistani, probabilmente in oppio ed eroina perché questi sono i traffici più importanti della regione quando non c’è carne umana da rivendere.
C’è un uinico organo di stampa che quando ha dato notizia un anno fa dell’accordo per Palau ha titolato: “trasferiti a Palau i terroristi uiguri..”. I terroristi uiguri. Perbacco.Indovinate qual è? Ma è “Il Giornale” della ditta Berlusconi-Feltri, era chiaro no…