Mehmet, curdo, prova a chiedere asilo. Ecco cosa riferiscono i suoi amici italiani che lo hanno assistito stamani alla questura di Roma. Resoconto di una mattinata incresciosa (sopra un’immagine di curdi in Calabria).
“Il povero Mehmet – così inizia il resoconto fatto da tre volontari che danno assistenza ai curdi, due donne e un uono – è andato ben quattro volte in questura prima di oggi, ma ogni suo tentativo di fare domanda di asilo politico è stato vano perché ogni volta è stato cacciato da una poliziotta.
Questa mattina, quando siamo arrivati, lui era già il primo della fila al cancello. Noi ci siamo messi in disparte, aspettando di vedere cosa sarebbe successo. La poliziotta l’ha riconosciuto e, invece di dargli il modulo per la richiesta asilo, gli ha urlato contro dicendogli “Turchia?!?!Te ne devi annà a casa!”, mimando il tutto con un esplicativo gesto della mano”.
A quel punto è intervenuta una delle volontarie che accompagnavano il curdo, per sapere il motivo per cui non potesse fare richiesta d’asilo. Nessuna risposta, spiega la volontaria. Ma dopo cinque minuti Memhet ha ricevuto il suo modulo. Ma il peggio doveva ancora arrivare…
“Alle 11.30 finalmente ci chiamano allo sportello – prosegue il racconto -. Riportiamo il dialogo che abbiamo avuto (le due volontarie hanno scritto su un quaderno tutto quello che è stato detto).
Prima poliziotta: Questo ha preso ‘n’espulsione a Bolzano, e dopo manco 3 giorni già è venuto a Roma? Perchè non ha chiesto asilo lì?
Mehmet (tradotto da un volontario): Sono venuto a Roma perchè a Bolzano la polizia mi ha cacciato e mi ha impedito di fare domanda d’asilo.
Prima poliziotta: E hanno fatto bene! Come ho provato a fa’ io ‘stamattina!
Volontaria: Ma è un suo diritto fare domanda d’asilo!
Prima poliziotta: Ah si? E perché è venuto a Roma? To’ dico io perché! Perché questo è ‘r paese dei balocchi. A Bolzano o rimannavano a casa. E invece qua ce state voi che aiutate questi…
Seconda poliziotta: E poi ve ‘nformate un po’ de questi che aiutate? Chi sò questi? Voi aiutate pure l’assassini!
Volontaria: Ma perché lui è un assassino?
Seconda poliziotta: E’un esempio, è pè dì!
Poliziotta: Sì, ma perché pè loro sò tutti bboni, sò tutti bbravi. Tanto a voi ve pagano!
Le due volontarie (all’unisono!): No veramente noi non siamo pagati!
Poliziotta: Forse voi no, ma l’associazione ne pija dè sordi!
Le due volontarie (di nuovo all’unisono): No veramente no!
Prima poliziotta: E pè che o fate, pè la gloria??
Volontaria: No, perché crediamo sia giusto far rispettare i diritti…
Prima poliziotta: Ah, la giustizia…Brave, brave (battendo anche le mani)
Prima poliziotta: Ma comunque perché è venuto a Roma?
Volontaria: Guardi, è venuto anche perché a Roma c’è un grande centro di curdi…
Prima poliziotta (rivolgendosi alla collega): Eh sì, perché nun c’o sai che i Turchi sò tutti curdi? Dò sta scritto che questo è curdo?
Volontaria: Sul suo documento!
Seconda poliziotta: Ah si? E faccelo vedè sto documento!
(viene data la carta d’identità di Mehmet)
Seconda poliziotta: E ‘ndò sta scritto Kurdistan?
Volontario: Ma guardi, se mi dice la città glielo dico io, ci ho vissuto dieci anni in Turchia (e sottovoce) altrimenti le porto una cartina!
Tutta la conversazione è stata condita da commenti sul fatto che tanto lo status non glielo danno, che questi vengono solo per dargli un po’ più di lavoro a loro, commenti sul povero Mehmet (la poliziotta lo guardava e diceva “guarda che faccia”…).
Continua il volontario, che parla la lingua turca:
“Mehmet doveva ancora aspettare che gli venisse materialmente consegnato il tagliando di prenotazione che finalmente gli era stato promesso, occorreva un po’ di tempo perché lo preparassero, per cui anche io me ne stavo nel salone ad aspettare, ad una trentina di metri dallo sportello, quando, da dietro lo sportello, un funzionario mi fa cenno con le mani di andare da lui allo sportello.
“Gesticolando con le mani mi schermisco: cosa c’entro io? Lui insiste, per cui mi avvicino per capire cosa vuole, lui mi indica una signora al suo fianco, dietro il vetro dello sportello,
vestita in abiti civili, italiana, la quale inizia con me una conversazione mezza in turco e mezza in italiano… comincia a chiedermi se sono turco o italiano, e cosa ci vengo a fare lì; gli dico che i richiedenti hanno talvolta difficoltà per la lingua, e mi avevano chiesto un aiuto per comunicare allo sportello; lei mi risponde di essere proprio lei la interprete della questura incaricata per la lingua turca…
“Io le rispondo che sono lietissimo che in questura esista anche una interprete per la lingua turca, ma che proprio non ero riuscito ad accorgermene, perché avevo constatato la volta scorsa ed oggi stesso che invece quando i curdi arrivavano allo sportello non c’era nessun presente che facesse da interprete per loro, tanto meno lei; ma certo! – mi risponde – lei sovente è nelle stanze interne, compare solo quando… i funzionari di polizia la chiamano.
“Poi mi dice che io potrei occupare meglio il mio tempo, che così facendo si favorisce l’immigrazione clandestina, che esistono molte associazioni che si occupano di assistenza ai rifugiati, se proprio voglio rendermi utile dovrei farlo lì invece che venire in questura , al che le rispondo di concordare con lei sull’utilità di impiegare meglio il mio tempo, e sul fatto che andare a spasso nei parchi sia assai più gradevole che venire in questura, ma che in tal caso sarebbe utile che lei fosse veramente presente allo sportello quando ce n’è bisogno, in modo da permettere la comunicazione in turco senza che io debba venir fin lì…”.