Il finiano Briguglio ha tirato fuori ieri dalla manica questo avvertimento per Berlusconi: “Ci spieghi allora lui la villa di Arcore….”. Qui dei seguito la scheda su Wikipedia e un articolo dell’Economist sulla casa “sottratta” con appena 500 milioni alla giovane erede dei Casati Stampa, grazie all’intervento dell’avvocato Previti.
Oggi su Repubblica un articolo ricorda che il giornalista Giovanni Ruggeri che aveva trattato la questione nel suo “Tutti gli affari del Presidente” querelato da Previti aveva poi visto riconosciuta dal Tribunale l’esattezza della sua ricostruzione.
Villa San Martino
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Villa San Martino si trova in Viale San Martino ad Arcore, in Brianza, da poco provincia di Monza e Brianza.
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La storia della dimora [modifica]
Villa San Martino
Con la Villa Borromeo d’Adda, attualmente sede comunale, e la Villa La Cazzola, residenza privata, fa parte del gruppo di ville sorte nel comune di Arcore a partire dal XVI secolo lungo il Lambro, che si presentano oggi come residenze di villeggiatura e rappresentanza, seguendo l’arcaica destinazione delle “ville di delizia”, [1] ma che erano nate come residenze padronali, da dove venivano gestite grandi aziende agricole, o semplici casini per la caccia.
L’ampio edificio prende il nome dalla località San Martino, in cui sorgeva un monastero benedettino, acquisito con le sue terre a metà del ‘700 dai conti Giulini, che lo ristrutturarono in forme neoclassiche.
L’edificio fu disposto o forse mantenuto dai Giulini nella tipica struttura a U aperta verso il paese. Durante queste opere di trasformazione fu impostato anche il grande viale d’accesso lungo un asse prospettico che, partendo dalla piazza antistante villa Borromeo, si spinge verso Ovest oltrepassando a cannocchiale l’edificio, nella sequenza corte d’onore, arco centrale del portico e apertura corrispondente nel salone; quindi attraversa il giardino e, infine, fiancheggiato da un lungo filare d’alti pioppi, si prolunga fino al Lambro, distante qualche chilometro.
Un impianto scenografico imponente, capace di far colloquiare l’edificio, il parco secolare e il verde agricolo molto esteso alla villa. Questo asse prospettico, sebbene ora interrotto visivamente da una macchia verde di alberi e arbusti e dal muro di cinta, è rimasto sostanzialmente integro. Dopo le trasformazioni compiute dal Giulini, la villa passò ai Casati nella prima metà dell’Ottocento, a seguito del matrimonio di Anna Giulini Della Porta con Camillo Casati (1805-1869). Alla fine di quello stesso secolo, pervenne al ramo dei Casati Stampa di Soncino e, seppure non stabilmente, continuò ad essere abitata con assiduità. Fino al 1955, anno della sua morte, fu abitata da Alessandro Casati, che ne ingrandì la biblioteca e vi ospitò a più riprese l’amico Benedetto Croce. Alla sua morte passò al parente più prossimo, il nipote Camillo Casati Stampa di Soncino (Roma 1927). Questi risiedette saltuariamente nella villa. Morto suicida nel 1970 dopo aver assassinato la moglie Anna Fallarino e il di lei compagno Massimo Minorenti (Delitto di via Puccini), la proprietà passò alla sua figlia di primo letto (avuta con Letizia Izzo), Anna Maria. La giovane all’epoca diciottenne e quindi secondo la legge minorenne venne affidata ad un tutore, nella persona di Giorgio Bergamasco. Pro-tutore viene nominato Cesare Previti. Nel 1972 Bergamasco viene nominato ministro dei Rapporti con il Parlamento nel primo governo Andreotti e Previti diventa il tutore unico della Casati Stampa. Quest’ultima, nel frattempo sposatasi con il Conte Pierdonato Donà dalle Rose e trasferitasi in Brasile, si svincola della tutela giuridica, mantenendo tuttavia Previti come suo avvocato. Pressata da esigenze economiche accetta nel 1973 la proposta di Previti di mettere in vendita la villa, che trova un acquirente in Silvio Berlusconi che acquista la tenuta per una somma di appena 500 milioni di lire e per giunta dilazionati nel tempo, mentre il valore effettivo del solo immobile di 3500 mq è di oltre 1 miliardo e 700 milioni dell’epoca come risulta dalle stesse stime legate all’eredità. Inoltre, all’interno della villa era conservata un’importante pinacoteca di opere del XV e XVI secolo, una biblioteca di oltre 3000 volumi antichi, oltre ad un immenso parco con scuderie e piscine. Alla fine del ’74 Berlusconi si insedia ad Arcore, ma Previti “suggerisce” alla sua “assistita” di posticipare il rogito catastale che verrà fatto nel solo 1980, evitando così il pagamento delle tasse di proprietà.[senza fonte] Una parte della somma pattuita vien inoltre versata sotto forma di azioni della Edilnord, poi riacquistate da Berlusconi stesso.
Silvio Berlusconi che ne è l’attuale proprietario ha fatto eseguire un restauro di tipo conservativo della porzione più antica e un ripristino di alcune parti alterate da precedenti interventi o che apparivano ormai fatiscenti. Grazie a questi lavori sono anche stati liberati, sistemati e resi disponibili splendidi locali sotterranei. L’attuale proprietario vi ha collocato un mausoleo personale (opera di Pietro Cascella), oggetto di interesse da parte della stampa mondiale, con loculi per i prossimi, una statua da 100 tonnellate ed un faraonico sarcofago in marmo rosa.[2].
Un rogito chiacchierato [modifica]
L’ultimo Casati-Stampa, il marchese Camillo, morì suicida a Roma, nel 1970, dopo avere ucciso la moglie e il giovane amante in una brutta storia che fece epoca nelle cronache del tempo. Ma oltre a dare motivo di chiacchiere alle gazzette, il marchese aveva lasciato una figlia minorenne (nata a Roma il 22 maggio 1951, quindi all’epoca dei fatti 19enne ma minorenne perché la maggiore età era fissata a 21 anni), Annamaria Casati Stampa, e grandi sospesi con il fisco. L’ereditiera Annamaria, avendo nel frattempo lasciato l’Italia per il Brasile, su consiglio del suo pro-tutore, l’allora giovane avvocato Cesare Previti, accettò una volta divenuta maggiorenne di vendere l’intera proprietà San Martino nel 1974 all’allora imprenditore edile Silvio Berlusconi (la villa, completa di pinacoteca, biblioteca di 10mila volumi – per curare i quali venne assunto come bibliotecario Marcello Dell’Utri – arredi e parco con scuderia in cui fu assunto come stalliere il boss mafioso Vittorio Mangano, era all’epoca valutata per il solo bene immobile circa 1.700 milioni di lire [3]) in cambio della cifra, molto inferiore alla valutazione, di 500 milioni di lire [4] in titoli azionari (di società all’epoca non quotate in borsa), pagamento dilazionato nel tempo. L’ereditiera non riuscì a monetizzare, se non con un accordo con gli stessi Previti e Berlusconi, che li riacquistarono per 250 milioni, ossia la metà di quanto avrebbero dovuto valere[5].
All’inizio degli anni ottanta la proprietà fu valutata garanzia sufficiente ad erogare un prestito di 7,3 miliardi di lire.[6]. Una sentenza del Tribunale di Roma, nel 2000, ha assolto gli autori del libro “Gli affari del presidente”, che raccontava la storia della transazione[senza fonte].
Dallo Special dell’Economist del 31.7.2003:
Anna Maria Casati Stampa di Soncino’s legacy
By November 1979, you had been living in a 17th century mansion, called Villa San Martino, for over five years. This beautiful house is in the town of Arcore, just north-east of Milan. You were not the legal owner; Anna Maria Casati Stampa di Soncino was. In September 1970, aged 19, Ms Casati Stampa became heiress to the family’s large fortune in tragic circumstances after Count Camillo Casati Stampa di Soncino, her father, shot her step-mother, her step-mother’s lover and then turned the gun on himself on August 30th 1970 in Rome.
As Ms Casati Stampa was under 21, the court appointed Giorgio Bergamasco, a senator and friend of the late count, as Ms Casati Stampa’s legal guardian. Cesare Previti, based in Rome
and who had acted for Ms Casati Stampa’s step-mother, won Ms Casati Stampa’s confidence and became her lawyer. His role was to dispose of the estate, whereas Mr Bergamasco’s was to sign all the necessary legal paperwork in Ms Casati Stampa’s name. So Mr Bergamasco had legal control of her assets, while Mr Previti had practical control.
Traumatised, Ms Casati Stampa left Italy in 1970, briefly returned in 1972 and has lived abroad since. When she became 21 she gave Mr Bergamasco power of attorney over her affairs. Ms Casati Stampa declines to comment.
The Casati Stampa estate, mainly in Lombardy, included large tracts of land. As well as Villa San Martino and its parkland, the family owned about 250 hectares of land at Cusago. With effect from November 11th 1979, a company called Immobiliare Coriasco Spa (Coriasco) bought Ms Casati Stampa’s land at Cusago.
Mandated by Mr L Foscale, SAF were the registered holders of Coriasco’s shares, so Coriasco’s beneficial owners were anonymous. However, in Fininvest Srl’s 1976 accounts Coriasco was included as a wholly owned subsidiary. Coriasco’s only director was Giuseppe Scabini, who later became Fininvest’s treasurer.
Coriasco did not pay money for Ms Casati Stampa’s land. Instead, 800,000 shares, valued at 1.7 billion lire, in a company called Cantieri Riuniti Milanesi (CRM), a small property company, one of whose directors was Mr Dell’Utri, were given to Ms Casati Stampa. These shares represented a 40% stake in CRM. Around the same time 400,000 CRM shares were given to a trust company called Unione Fiduciaria, a subsidiary of an Italian bank. It is not known who the beneficial owner of these shares was.
Ms Casati Stampa was unhappy that she had been given shares in a company she knew nothing about in exchange for her land. She wanted the shares to be turned into cash. What followed next is best understood by referring to table 3.
The essence of what happened is that you arranged for a shell company of yours, Palina, fronted by a 75-year old stroke victim, to buy the 800,000 CRM shares from Ms Casati Stampa, and the 400,000 CRM shares from Unione Fiduciaria. Palina paid 1.7 billion lire to Ms Casati Stampa and 860m lire to Unione Fiduciaria. The investigators from Palermo did not find out where this money came from, as there was no trace of it at BPA. However, they found a bill from Unione Fiduciaria and a stamped share-transfer form signed by Mr Bergamasco, which strongly suggest that 2.56 billion lire was paid.
On December 19th 1979, Palina sold the 1.2 million CRM shares to Milano 3 Srl, another shell company. Milano 3 Srl paid Palina 27.68 billion lire (ie, more than ten times as much as Palina had paid weeks earlier). Palina was a cut-out company; it was incorporated in October 1979 and placed in liquidation in May 1980. There was nothing in its accounting records about the CRM share deals, or the sale of the CRM shares to Milano 3 Srl.
The transaction was a sham because Milano 3 Srl indirectly got the money to pay Palina from Palina. As table 3 shows, on December 19th 1979, Palina sent 27.68 billion lire to the trust companies, which then transferred this sum to holding companies’ bank accounts at BPA. From there, the funds went through Fininvest Roma’s BPA account, and then, through Milano 3 Srl’s account to an unknown beneficiary.
Since the Palermo investigators’ examination of BPA’s records precluded the introduction of funds by a third party, the funds must have gone round in a circle. This is because on the same day there was a receipt of 27.68 billion lire in Palina’s current account (ie, from Milano 3 Srl).
You seemed to have known what was going on. You had written to the trust companies on December 13th 1979 to advise them that a forthcoming payment of 25.68 billion lire was to be treated as shareholder loans to certain of the Holding Italiana companies. In the event you paid 27.68 billion lire. (Holding Italiana 18-19, not mentioned in your letter, received 2 billion lire.)
Milano 3 Srl was incorporated in November 1979, as a subsidiary of Fininvest Roma. Mr Dal Santo was its only director. The anti-Mafia investigator and the Palermo magistrates’ technical consultant did not gain access to Milano 3 Srl’s books and records. However, Milano 3 Srl must have been the source of the 27.68 billion lire received by Palina on December 19th. It must also have recorded the 27.68 billion lire as an investment in CRM in its books. This investment was “funded” by the 27.68 billion lire that it had received from Fininvest Roma the same day.
CRM merged (literally) into Milano 3 Srl in July 1980. Milano 3 Srl, the surviving company, renamed itself Cantieri Riuniti Milanesi. It was the same manoeuvre once again—elimination of two equal and opposite accounting balances that had arisen from the circular flow of funds. When the two balance sheets were merged, the balances in Milano 3 Srl’s books relating to the Palina transaction disappeared. Its investment in CRM shares would simply have been netted off against the related financing received.
It needed to be. Fininvest could not possibly have spent 27.68 billion lire on buying the 1.2 million CRM shares that you already owned (through Palina) since precisely the same amount of money had gone in and out of Palina’s bank account on December 19th 1979. And CRM’s shares had little value since CRM did not even own the land at Cusago— Coriasco did.
Mr Dell’Utri’s technical consultant told the Palermo court that, if this transaction had taken place after anti-money laundering rules were introduced in 1991, “it would have had to have been reported” because of the amount of money involved.
Routing the funding for the Palina transaction through Fininvest Roma had the effect of puffing up this company’s assets and liabilities by 27.68 billion lire. As a part of the operation, Fininvest Roma’s share capital increased by 15 billion lire, treated as fully paid up. This share capital was phoney, as were the rest of the accounting entries relating to this operation. In other words, manufactured bank-account movements, made possible by Palina, which completed the circle, lent spurious credence to hollow accounting entries.