E’ morto Peter Orlovsky, aveva 76 anni (77 loi avfrebbe fatti il 3 luglio), era un poeta, a lungo era stato il compagno di Allen Ginsberg (qui accanto insieme in India nel ’62). Aveva un tumore ai polmoni, i suoi ultimi giorni li ha spesi al Karme Choling Meditation Center di Barnet, nel Vermont.
Lo ricordo nel ’79 al festival dei poeti a Castelporziano. Fantastica serata, col palco che traballava e rischiava di finire giù, un gruppo che dalla platea se ne era impossessato pretendendo di gestire un grosso bugliolo di minestrone, una situazione un po’ caotica con Ginsberg e Orlovsky che se la ridevano. In giro c’erano gli inserti che Lotta Continua aveva dedicato al festival. Ma il popòolo della spiaggia quella sera aveva voglia di caciara. Fu allora che Allen intonò un mantra, profondissimo e stupefacente mantra che azzittì tutti (del resto lo stesso aveva fatto Frank Zappa al Mattatoio imponendo alla platea un preciso: and now, relax).
Infine Orlovsky afferrò un banjo. Con Allen suonò e cantò Father’s Dead. Grande serata…
Ricordiamolo con questa sua poesia “Vertigine”:
Un arcobaleno entra versandosi nella mia finestra. Sono elettrizzato.
Canzoni esplodono dal mio petto, tutte le mie lacrime cessano, il mistero inonda l’aria.
Cerco le mie scarpe sotto al letto.
Una grossa donna colorata si trasforma in mia madre.
Non ho ancora denti finti. Immediatamente dieci bambini si siedono sul mio grembo.
Non taglio la barba da un giorno.
Ho bevuto un’intera bottiglia con i miei occhi chiusi.
Ho scritto su un foglio e mi sento nuovamente sdoppiato. Voglio che tutti mi parlino.
Raccolgo la spazzatura dalla scrivania.
Invito duecento bottiglie nella mia stanza, le chiamo insetti di giugno.
Uso la macchina da scrivere come cuscino.
Un cucchiaio diventa una forchetta davanti ai miei occhi.
I vagabondi donano a me tutti i loro soldi.
Ciò di cui ho bisogno è uno specchio che mi accompagni per tutta la mia vita.
Nei miei primi cinque anni di vita ho vissuto in pollai con poca pancetta.
Mia madre mi mostrava la sua faccia da strega e mi raccontava storie di barbe blu.
I miei sogni mi sollevavano dal mio letto
Sognavo di saltare nel vortice di una pistola per lottare con una pallottola.
Ho incontrato Kafka e lui è salito su un appartamento per evitarmi.
Il mio corpo si è trasformato in zucchero, versato nel tè ho trovato il senso della mia vita.
Ciò di cui avevo bisogno era inchiostro per trasformarmi in un ragazzo nero.
Cammino per le strade cercando oggi gente che mi accarezzi.
Ho cantato sugli ascensori credendo di raggiungere il paradiso.
Sono sceso all’86° piano, correndo lungo i corridoi, alla ricerca di mozziconi freschi.
Il mio sperma diventa un dollaro d’argento posato sul letto.
Guardo fuori dalla finestra e non vedo nessuno, Vado in strada, guardo verso la mia finestra e non vedo nessuno.
Così parlo all’idrante, e gli chiedo “Hai delle lacrime più grandi delle mie?”
Non c’è nessuno in giro, piscio ovunque.
Mie trombe di Gabriele, mie trombe di Gabriele: Spiegate i canti di gioia, il mio giubilo immenso.