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Indulto in Cile: Maria Paz Venturelli scrive al Papa. Giovedì l’incontro alla Provincia di Roma

E’ possibile una riconciliazione senza giustizia?
Oggi la Chiesa cattolica cilena, nella ricorrenza del bicentenario dell’indipendenza del Paese,  ha chiesto un indulto anche per chi si è macchiato durante gli anni della dittatura Pinochet di crimini di lesa umanità.
I familiari dei caduti e dei torturati hanno indirizzato nei giorni scorsi una lettera al cardinale di Santiago Javier Arrazuriz per esprimere tutta la loro contrarietà.
In Italia si sta celebrando a Roma, davanti alla I Corte d’Assise del Tribunale di Roma, il processo al procuratore militare Alfonso Podlech accusato della “scomparsa” nel Cile del 1973 di Omar Venturelli, un militante di Cristiani per il Socialismo, ex sacerdote e docente di pedagogia all’Università cattolica di Temuco (sotto in una delle sue ultime foto). Nella prossima udienza del 18 giugno saranno ascoltati nuovi testimoni d’accusa.
Il processo Podlech vede l’imputato in aula, il suo comportamento anche di fronte a testimonianze schiaccianti da parte di vittime dei sistemi giudiziari allora garantiti dalla tortura non ha mostrato alcuna forma di ripensamento.
Alfonso Podlech ha puntato finora solo a una sterile difesa costellata di penosi aggiustamenti, nell’ultima udienza ha usato una dichiarazione volontaria solo per dire che in Cile non sono stati usati dai magistrati “metodi da Brigate Rosse”. E questo lo ha detto di fronte a un testimone come Victor Maturana che gli aveva appena contestato di essere stato legato nudo a una rete metallica e aver subito torture con l’elettricità, prima di comparire davanti a lui che lo interrogava come procuratore militare. La vittima ha anche aggiunto: “Se al giudice Podlech non bastava quanto avevo deposto, mi riportavano  nella sala di tortura per un altro trattamento. E così via…”.
Alla vigilia di questo processo sui desaparecidos cileni – la nuova udienza è prevista venerdì 18
(I Corte d’Assise, I piano dell’Edificio B del Tribunale di Roma) – ci s’interroga sul valore della riconciliazione. E’ possibile una riconciliazione senza giustizia?
Giovedì 17 giugno, ore 17,00,  Sala della Pace della Provincia,  Palazzo Valentini  (via IV Novembre, 119A).
Imcontro promosso da 24marzo Onlus e Associazione culturale lalottacontinua.
Partecipano Hugo Venturelli nipote del “desaparecido” Omar Venturelli, l’avvocato Marcello Gentili, Don Tonio Dell’Olio di Libera International, il Pastore Antonio Adamo della Chiesa Valdese,  il vaticanista Ettore Masina, la giornalista cilena Patricia Mayorga,
Un saluto del consigliere provinciale Gianluca Peciola.
Coordina  il giornalista Paolo Brogi.
Info 335 7350855
La lettera che Maria Paz Venturelli, figlia di Omar Venturelli, ha indirizzato al Papa e che giovedì sarà letta nell’incontro. Ecco il testo:

Rogatoria pubblica al Santo Padre
Santo Padre,
sono Maria Paz Venturelli, dall’età di due anni ho perso mio padre, desaparecido nell’ottobre del 1973 dal carcere di Temuco in Cile.
Mio papà, Omar Venturelli era professore di Pedagogia all’Università Cattolica di quella città e la sua fede cristiana lo aveva portato a difendere le condizioni di vita miserabili dei contadini Mapuche.
Da bambina, durante il nostro esilio in Italia, ascoltavamo le canzoni della poeta e cantautrice Violeta Parra, anima bellissima capace di trasformare in musica il Cile stesso.
C’era una canzone che recitava “…che dirà il Santo Padre, che vive a Roma, nel vedere che stanno sgozzando le sue colombe?” il ritornello era accattivante e rimaneva facilmente a mente.
Da bambina non capivo la portata e l’importanza che le Sue parole, Santo Padre, hanno sulla vita di tanti uomini e tante donne, anche in Cile, un paese così lontano da Roma.
Sin dal mese di marzo, con un solenne Te deum, l’Arcivescovo di Santiago Cardinale Francisco Javier Errazuriz  e altri vescovi, hanno chiesto al governo cileno un “indulto giubilare” in occasione dei festeggiamenti dei duecento anni dalla nascita della Repubblica del Cile, firmata il 18 settembre 1810.
Questi prelati ritengono che la richiesta, che grazierebbe molti detenuti e, fra questi, anche quei pochissimi che sono stati condannati per crimini contro l’umanità compiuti durante gli anni della sanguinosa dittatura di Pinochet, costituisca un passo importante verso la riconcialiazione del Paese.
Santo Padre, penso che in Cile ci siano tante colombe, sono quelle donne e quegli uomini che sono sopravvissuti a quegli anni orribili, che hanno ricostruito le proprie vite con amore e che piangono il proprio padre, il figlio, i figli, la madre, il fratello portando fiori su una tomba, oppure, per i più sfortunati, come me, senza nemmeno avere le ossa dei propri cari desaparecidos.
Queste colombe attendono con ansia la pace che solo la riconciliazione può dare. Aspettiamo con ansia il reale pentimento e la vera ispirazione al perdono dei carnefici per uscire dall’incubo che hanno costruito. Abbiamo bisogno della verità, per poter riconoscere la nostra storia e versare le nostre lacrime sui corpi che ci hanno nascosto. Abbiamo bisogno della giustizia per vivere una democrazia forte e prospera.
Può la chiesa cilena straziarsi in un gesto che frantumerà tutto questo? E’ davvero così lontano il Cile? La mia rogatoria si rivolge a Lei, Santo Padre, perchè si costruisca insieme ai familiari delle vittime la duratura pace e  la vera riconcializione. Se l’indulto giubilare grazierà i carnefici di tanti,  significherà che la festa per il bicentenario della democrazia in Cile sarà una macabra festa per tutti coloro che hanno subito violenza e non hanno ancora ottenuto giustizia, anche a Roma.
Lo dico perché nell’aula in cui si celebra il processo per la scomparsa di mio padre presenzia come imputato un accusato, Alfonso Podlech, che non mostra alcun segno di ravvedimento o pentimento, ma che anzi coglie ogni occasione per confermare lo spirito arrogante e non riconciliato di chi è stato oppressore e ritiene di aver fatto il giusto.
Maria Paz Venturelli

 

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