Informazioni che faticano a trovare spazio

Istituto politiche innovazione: no al comma 28 del ddl sul web

Lettera aperta al Senato: nel mirino il comma 28
di: Giacomo Dotta Commenti (11)
L’Istituto per le Politiche dell’Innovazione ha promosso una lettera aperta, che chiunque può oggi firmare, richiedente la modifica dell’art.1 comma 28 del ddl sulle intercettazioni: responsabilità eccessive sugli utenti del Web ucciderebbero la libertà

L’Istituto per le Politiche dell’Innovazione ha proposto una lettera aperta, che chiunque può firmare, destinata ai Presidenti dei Gruppi Parlamentari del Senato. È proprio in Senato, infatti, che sta per approdare il ddl 1415A sulle intercettazioni, un documento che online e offline ha fatto discutere per motivazioni differenti. Se offline è soprattutto il dibattito politico ad aver calamitato la gran parte delle attenzioni, in Rete è emerso un problema per la sopravvivenza stessa del dibattito quotidiano a causa di alcune specifiche del ddl tali da imporre gravose responsabilità per chiunque apporti contenuti al Web o curi un proprio «sito informatico» (così come viene definito nel testo del ddl stesso).

Recita l’introduzione alla lettera aperta (pdf): «Egregio Presidente, il ddl 1415A approvato alla Camera dei Deputati l’11 giugno u.s. ha, da più parti, sollevato numerosi dubbi e perplessità in ordine alla sua legittimità costituzionale e, più in generale, all’opportunità degli interventi normativi che, attraverso esso, si intendono realizzare. Vi è, tuttavia, un profilo, sin qui, rimasto nell’ombra e poco approfondito nei dibattiti di questi giorni: si tratta del contenuto del comma 28 dell’art. 1, la cui infelice formulazione – ammesso anche che tale non fosse l’effettiva volontà del suo estensore – rischia di determinare un’inammissibile limitazione della libertà di manifestazione del pensiero in Rete che spingerebbe, rapidamente, l’Italia in una posizione ancor più arretrata di quella che attualmente occupa (è quarantaquattresima) nelle classifiche internazionali sulla libertà di informazione. La citata previsione, infatti, sembrerebbe assoggettare il responsabile di qualsiasi “sito informatico” allo stesso obbligo di rettifica che la Legge sulla stampa (n. 47 dell’8 febbraio 1948) pone a carico del direttore responsabile delle testate giornalistiche. L’omesso adempimento a detto obbligo entro 48 ore – esattamente come accade nel caso di una testata giornalistica – comporterebbe per il responsabile del sito informatico la condanna ad una sanzione pecuniaria fino a 25 milioni di vecchie lire».

La lettera spiega semplicemente quanto sgangherato possa essere un intervento di questo tipo, il quale porrebbe l’intero web italiano sotto una spada di Damocle chiaramente pericolosa: «Come comprenderà non si può esigere da chi fa informazione online in modo non professionistico l’adempimento ad un obbligo tanto stringente quale quello di provvedere alla rettifica di ogni inesattezza eventualmente pubblicata sul proprio sito informatico e, egualmente, non si può pretendere che a ciò provvedano i responsabili di siti informatici che ospitano contenuti pubblicati da soggetti terzi».

L’invito è pertanto diretto: «Alla luce delle brevi considerazioni che precedono, pertanto, Le chiediamo di presentare e votare – non appena il ddl 1415A approderà al Senato – un emendamento idoneo a chiarire che l’obbligo di rettifica di cui al comma 28 dell’art. 1 del DDL c.d. Intercettazioni deve applicarsi esclusivamente ai siti informatici di testate telematiche soggette all’obbligo di registrazione alla stregua di quanto disposto dalla Legge n. 47 dell’8 febbraio 1948 ovvero ai soli siti internet attraverso i quali vengono diffuse informazioni prodotte nell’ambito di un processo professionale realizzato nell’ambito di una struttura imprenditoriale e redazionale. In assenza di tale intervento, il Senato della Repubblica, si assumerà la responsabilità – da condividere con il Governo e con quanti alla Camera dei Deputati hanno votato a favore del ddl in questione – di aver contribuito a scrivere una delle pagine più buie della storia moderna di un Paese che, come il nostro, ambisce a considerarsi democratico».

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