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“Padre, sono lesbica…”. Inchiesta dell’Unità nel confessionale

Dall’Unità di ieri:

Omosessualità, i ricatti della fede dietro la grata del confessionale
di Ilaria Donatio

Padre, sono lesbica, amo le donne come me e sono credente. Soffro per il giudizio della Chiesa e sento forte il peso della colpa. «Fatti forza e domina le tue tendenze», risponde il prete di San Giovanni Bosco, nel Tuscolano, la stessa chiesa che non celebrò i funerali di Piergiorgio Welby. «Noi siamo esseri deboli, capaci di un amore limitato e istintuale, per questo dobbiamo seguire il comandamento della Chiesa, che è quello dell’amore integrale della Bibbia». Una confessione standard, ripetuta in dieci chiese romane, seguendo un percorso che dalla periferia della capitale porta dritti nel cuore del cattolicesimo, a San Pietro. Per capire come rispondono i ministri della Chiesa all’omosessuale che crede. E che teme l’esclusione dalla comunità ecclesiale.

Poco oltre c’è la chiesa di Santa Maria Ausiliatrice: il padre confessore è visibilmente imbarazzato, infatti, non trova le parole. Alla fine, riesce a dire: «Siamo proprio sicuri? Esiste una diagnosi clinica che accerti l’omosessualità? Perché forse è un fatto passeggero, qualcosa di curabile». E spara la soluzione: togliersi «questo chiodo fisso» e «darsi al volontariato, avere uno scopo». In fondo, per le persone nella tua condizione, da parte «della chiesa, c’è la massima comprensione», rassicura, «purché non si pratichi».

Chi sono gli omosessuali credenti, oggi, per questa Chiesa? Solo peccatori (im)penitenti o anime da guidare come tutte le altre? Come la pensano i suoi ministri? Un insospettabile viceparroco trentenne è raccolto in preghiera nella Chiesa di Ognissanti, alle porte di Piazza Re di Roma: scarpe da tennis e tuta, sembra un turista o uno dei tanti fedeli di passaggio. Incoraggia ad andare avanti «nella vita come nella fede», a «non sentirsi giudicati»: prova a spiegare la posizione della Chiesa, «di condanna verso tutti i comportamenti disordinati ed estremi, che siano compiuti da persone eterosessuali oppure da omosessuali». E invoca il perdono per la lesbica penitente che ha di fronte. «L’omosessualità non è un peccato in sé» ha stabilito nel 1986 la Congregazione per la dottrina della fede, quando a guidarla c’era l’allora cardinale Ratzinger, ma «resta un comportamento cattivo dal punto di vista morale» e un’inclinazione «oggettivamente disordinata».

Nella Basilica di San Giovanni in Laterano, un sacerdote ottantenne un po’ sordo dispensa consigli pratici e incoraggia ad accettarsi «nel nome del Signore»: e se «domani ti innamori di una donna, restate vicine e chiedete perdono insieme». Infine, un suggerimento che suona come un augurio: «Trovate un sacerdote che non vi condanni e vi guidi nella fede».

Alla lesbica credente, colpevole solo di avere una tendenza maligna, è impartita l’assoluzione per un non peccato. «Il perdono non si nega mai» e la Chiesa degli uomini sembra più misericordiosa, imperfetta e confusionaria del quadro senza sbavature suggerito da vescovi e cardinali. Dietro l’angolo esiste sempre la strada dell’amore spirituale, sapendo in anticipo che il percorso è pieno di contraddizioni. Ma il sacramento della penitenza esiste per questo.

Ecco due chiese molto celebri, praticamente due musei dove si prega di passaggio. Il Santuario di Santa Maria degli Angeli, in piazza della Repubblica, e la Chiesa del Gesù. Qui nemmeno la lingua italiana ti aiuta: in entrambe a rimettere i peccati, due pretini dello Sri Lanka. Con uno sforzo incredibile, evitano per tutto il tempo anche solo di citare il termine “omosessualità”. Piuttosto sbrigativi, sono pronti tuttavia a rassicurare: «Dio comprende e ama tutti, senza distinzione».

I gesti e le parole della penitenza sono tutti uguali: riti che si ripetono all’infinito e un po’ si stemperano nel buio delle navate. Ma stavolta non è così. Fuori programma nella basilica di Santa Maria sopra Minerva, quando il sacerdote, evidentemente colpito dalla delicatezza della questione, esce dal confessionale e fa strada verso le stanze della sacrestia: «Seguimi, così sarai più a tuo agio». E poi: «Io pecco ogni giorno, mi sento attratto dalle donne», sembra quasi lui a confessarsi, mentre ammette: «Non riesco a farne a meno e per questo chiedo perdono tutte le volte». E l’amore omosessuale? «L’unico amore possibile è quello che viene da Dio, in linea con la creazione».

La confessione più lieve e sorridente è quella del santuario di nostra Signora del Sacro cuore, in piazza Navona. Il prete, un toscano di 80 anni, esclama: «Cosa vuole che le dica? Certamente, nulla di definitivo: senta altre campane oltre alla mia!». Poi, racconta la parabola di Abramo e del figlio Isacco e invita a riflettere sulla dimensione del mistero legato alla fede. «Accettare le contraddizioni», senza avere timore «di viverle e di peccare e di chiedere perdono», questo il suo viatico. Preti dietro e fuori la grata, corpi inaccessibili e separati: voci remissive, severe, imbarazzate, accoglienti, colte o dialettali. Il segno della croce è il fischio di partenza, poi, tutto si umanizza e le distanze diventano più gestibili: c’è il peccato confessato, la Parola che viene in soccorso e, puntuale, l’attesa riabilitazione “nel nome del Signore”. Nel cuore del Vaticano, dentro la basilica San Pietro, c’è solo un prete che si affaccia dal confessionale e che si può guardare negli occhi. È sudamericano ma parla benissimo l’italiano. Pochi secondi di silenzio e poi, arriva la provocazione: «Ti auguro di trovare una bella ragazza, cosa vuoi che ti dica?». Poi il registro diventa politico: «È un problema che hanno tutte le minoranze quando chiedono il riconoscimento di alcuni diritti civili”. E fa la sua analisi: in Italia “non esiste una lobby gay, mentre c’è ed è fortissima, la lobby della Chiesa cattolica. In quale altro posto – chiede i politici fanno la fila per parlare con un cardinale?». Alla fine, il sospetto diventa certezza: «Cosa dovremmo fare noi omosessuali? darci fuoco tutti per urlare alla Chiesa e al mondo che esistiamo?», chiede con impeto. E la pratica sessuale? «Che problema c’è?» risponde, «basta solo rompere il meccanismo di colpa e innescarne uno positivo, sentirsi in armonia con se stessi!». Infine, dolcemente: «Non c’è nulla di sbagliato nell’amore, quando è tra adulti consenzienti«. Prima di impartire l’assoluzione, prende carta e penna e segna tre titoli di libri da leggere: tutti scritti da autori stranieri, per comprendere meglio – spiega – il punto di equilibrio tra fede e identità sessuale.

Il viaggio penitente alla ricerca di uno spiraglio, una piccola crepa di speranza in cui introdursi per sparigliare le carte, finisce qui. Nel segreto del confessionale, la Chiesa diffusa – quella fuori dalle gerarchie – si gioca una chance per rimanere piantata nella realtà. Pochi minuti, poche battute per rispondere al peccatore che la interpella, costretta a scegliere, in nome della stessa Verità, se essere madre amorevole o severa matrigna.
21 aprile 2010

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