Riprendiamo dal quotidiano “Terra” questo articolo suill’Afghanistan, con un’intervista a Mehmooda Sheiba di Rawa (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan).
“Gli afgani hanno tre nemici: i talebani che uccidono chi non si piega alla propria visione arcaica della società; i signori della guerra ora alleati di Karzai che, secondo le convenienze, combattono o patteggiano coi talebani; le truppe straniere che noi consideriamo d’occupazione non di liberazione. Chiedere che questi 80.000 soldati lascino il Paese non cela l’illusione che il giorno dopo tutto verrà risolto, però darà al popolo un nemico in meno”. Non usa perifrasi Mehmooda Sheiba, ventinove anni, da tredici attivista di Rawa (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan) che sostiene i diritti delle donne e interviene per quel che può nella politica d’una nazione cronicamente malata di guerre. Molte delle quali non scelte. Alcuni militanti di Rawa vivono in parziale clandestinità, chi non è perseguitato di persona interviene in quelle briciole di vita pubblica non militarizzata, propugnando uno Stato non confessionale poiché Rawa considera la fede una scelta soggettiva.
Per un periodo l’organizzazione ha pensato che con Karzai si potesse cambiare rotta e rilanciare un margine di giustizia per la nazione e di diritti per le donne. “Speranza da tempo scomparsa – sostiene Sheiba – perché l’operato del premier si salda con la tradizione patriarcale e col tribalismo difeso dai signori della guerra. Le richieste dell’Associazione di limitare le inclinazioni fondamentaliste presenti non solo fra i talebani sono cadute nel vuoto. Così nei nove anni di guerra e col governo sostenuto dall’Occidente le vessazioni nell’universo femminile, e in molti casi infantile, sono addirittura cresciute. Purtroppo la stampa ufficiale viziata dalla propaganda statunitense è concentrata sul principio – peraltro fatuo – della lotta al terrorismo. Pochissimi parlano della violenza subìta dalle donne a opera degli alleati dell’Occidente, quegli afgani addestrati dall’esercito Nato, e in certe occasioni per mano dei militari dell’Isaf (la Forza internazionale di sicurezza, ndr)”.
“Parte della stampa locale ha provato a denunciare ma è stata azzittita con le armi: Zakia Zaki, Shanga Amai, Shama Razee, giornaliste impegnate nel rivelare violenze e soprusi, sono state assassinate. I mandanti siedono anche in Parlamento, come il padre d’un giovane di cui s’erano scoperti aggressioni e stupri, e che per protezione familiare è rimasto impunito. Ma anche quando il genitore è meno illustre i misfatti maschili non prevedono sanzioni. Se si va oltre la smaccata propaganda filo governativa si comprende che finora nessun serio problema è stato risolto. Prendiamo la corruzione: in più d’una conferenza politici americani ed europei hanno richiesto al nostro governo di combatterla. Forse costoro fingono di non sapere che quell’esecutivo annovera personaggi che fomentano il fenomeno. Un esempio sono gli aiuti della Comunità Internazionale alla popolazione, solo in qualche caso sono giunti a destinazione, gran parte s’è persa nei cento rivoli gestiti da gruppi tribali e militari col benestare degli uomini di Karzai”.
“Questo mentre l’85% degli afgani vive sotto la soglia di povertà, per la quale ancora una volta sono le donne l’anello debole costrette a vendere sé stesse per offrire sostentamento ai parenti. Altro tema sbandierato nei primi mesi dell’intervento della Forza Multinazionale è stato l’abbattimento del mercato della droga. Una favola. Durante l’ennesima guerra il commercio è cresciuto a dismisura, tanto che recenti statistiche dichiarano che l’Afghanistan copre il 93% della produzione mondiale del papavero da oppio. Ci sono di mezzo migliaia di miliardi di dollari, e la fornitura delle ricchissime piazze occidentali, dove i racket malavitosi fanno affari, non dev’essere toccata. Dalla politica di Obama ci s’aspettava un approccio diverso ne siamo invece profondamente delusi. Sotto gli occhi di tutti c’è il rilancio della guerra subdolamente rivolta ai civili, centinaia di migliaia sono morti sotto le bombe americane. Chi prosegue la litania della campagna per la democrazia dovrebbe avere il coraggio di dare un aggettivo alle elezioni delle scorse settimane. Sono state un esempio di libertà o una truffa?”
“Il Paese è sottoposto a un ignobile gioco strategico-militare sulla pelle di milioni di persone. Lo stesso martellante tam-tam della lotta al terrorismo è solo propagandistico e non sposta gli equilibri interni. Serviranno a poco anche catture di leader come Abdul Ghani Baradar, i guerriglieri hanno già mostrato di non arretrare quando perdono un capo, semplicemente lo sostituiscono. I limiti militari dell’Isaf, nonostante mezzi e uomini profusi e la morte seminata fra la gente, si deducono da mosse diplomatiche come quella della conferenza di Londra. Le potenze occidentali hanno cercato una componente talebana “buona” con cui dialogare per ipotetici accordi. Un deprimente spettacolo di chi prima lancia proclami di fermezza quindi li smentisce. Strateghi e commentatori statunitensi non dicono che nel Parlamento afgano siedono signori della guerra e politici più criminali dei talìban. A cominciare dai vicepresi denti Khalili e Fahim”.
Enrico Campofreda, 19 febbraio 2009
da “Terra” del 21.2.2010