Il caso
Mokbel, il giallo di via Gradoli
La sorella parlò del covo delle Br
Abitò nel palazzo tornato d’attualità con Marrazzo
La sorella parlò del covo delle Br
Gennaro Mokbel |
ROMA — «Sì, Lucia è una delle due sorelle di Gennaro Mokbel, me l’ha confermato direttamente lui— dice Ambra Giovene l’avvocato che lo difende —. Però da tempo non hanno più rapporti stretti. Ma perché tutto questo interesse per Lucia Mokbel. Forse per via Gradoli?». Già, via Gradoli, dannato epicentro di storie oscure tra Prima e Seconda Repubblica. Storie recenti di trans frequentati dall’ex governatore del Lazio Piero Marrazzo (con relativo strascico di morti), storie più lontane di grandi misteri come il covo utilizzato da Mario Moretti durante il sequestro di Aldo Moro, che oggi si intrecciano con l’inchiesta su frode fiscale e riciclaggio che vede tra i protagonisti Gennaro Mokbel, arrestato nei giorni scorsi. Gennaro è il fratello di Lucia che, appunto abitava nell’appartamento di fronte a quello delle Brigate Rosse scoperto per una «strana» infiltrazione d’acqua. La donna ebbe un ruolo non marginale nella vicenda perché segnalò per prima le stranezze di quell’appartamento.
Via Gradoli 96, interno 11, secondo piano. È lì che abitavano nella primavera del 1978, durante il sequestro Moro, i brigatisti Moretti e Barbara Balzerani. Lucia Mokbel era l’inquilina della porta accanto, l’interno 9, dove alloggiava col convivente Gianni Diana, impiegato da un commercialista amministratore di immobili in cui figuravano anche società in mano ai servizi segreti. Gli stessi servizi segreti che avevano in via Gradoli appartamenti intestati a società di copertura. La Mokbel al primo processo Moro raccontò la storia di un bigliettino, poi sparito, in cui lei faceva sapere di aver sentito alle tre di notte il ticchettio di una trasmissione in Morse che proveniva dall’appartamento adiacente, il covo delle Br. Un biglietto consegnato agli agenti di polizia che il 18 marzo erano andati a bussare a parecchie porte del condominio e che era indirizzato al commissario Elio Cioppa, che poi risultò iscritto alla P2. «Non mi fu dato l’ordine di perquisire le case — riferì in aula il sottufficiale Merola —. Era solo un’operazione di controllo durante la quale furono identificati numerosi inquilini, mentre molti appartamenti furono trovati al momento senza abitanti e quindi, non avendo l’autorizzazione di forzare le porte, li lasciammo stare, limitandoci a chiedere informazioni ai vicini. L’interno 11 fu uno degli appartamenti in cui non trovammo alcuno. Una signora che abitava sullo stesso piano ci disse che lì viveva una persona distinta, forse un rappresentante, che usciva la mattina e tornava la sera tardi». Ma Lucia Mokbel—la signora in questione — aggiunse di aver dato ai poliziotti, perché lo consegnassero al dottor Cioppa, un biglietto in cui diceva di aver sentito la sera prima segnali in Morse provenienti dall’appartamento adiacente. Ma quel biglietto non è mai stato ritrovato.
Paolo Brogi
01 marzo 2010
Corriere della sera