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L’Iraq vota il 7 marzo. Nessuno se ne accorge? Un incontro al Senato

“Negli ultimi anni sull’Iraq è caduta una patina di silenzio. E anche queste prossime elezioni stanno ricevendo un’attenzione internazionale piuttosto limitata. Tuttavia si tratta di un appuntamento di grande importanza, perché contribuiranno a determinare quello che sarà il futuro dell’Iraq”. Così il senatore del Pd e Presidente della Commissione straordinaria sui diritti umani Pietro Marcenaro ha aperto oggi i lavori della conferenza organizzata da Osservatorioiraq.it a Palazzo Madama, con la partecipazione dell’inviato del Sole 24 Ore, Alberto Negri. Sulle vicende irachene “è caduto un sipario ingiustificato”, anche perché – come ha avuto modo di affermare recentemente un ex diplomatico statunitense di stanza in Iraq – gli eventi salienti devono ancora verificarsi”, ha sottolineato Ornella Sangiovanni di Osservatorioiraq. Dal punto di vista politico “il voto del 7 marzo è cruciale”: “Si tratta di una opportunità di cambiamento unica per fare dell’Iraq uno Stato di diritto, indipendentemente da etnie e confessioni”, aggiunge, avvertendo: “Il governo che uscirà dalle urne dovrà gestire una transizione importante, a fronte del progressivo ritiro delle forze Usa, e si troverà a legiferare su materie importanti, a partire dal petrolio”. Sul progressivo disimpegno degli Stati Uniti è intervenuto anche Alberto Negri, per il quale non si può parlare di un vero e proprio disimpegno da parte degli Usa, “perché resteranno molti soldati, specie in alcune aree sensibili come quella di Mosul”. Per l’inviato del Sole 24 Ore “dal 2003 a oggi il quadro mediorientale è molto cambiato: le due potenza emergenti nella regione sono Iran e Turchia, e il peso del mondo arabo nell’area è molto diminuito”. “Lo stesso Iraq doveva essere ‘americanizzato’ ed è finito per essere ‘iranizzato’ e ‘turchizzato’”, perché questi due Paesi sono divenuti i due principali partner commerciali dell’Iraq. Non a caso su queste elezioni spira un’aria da ‘sindrome iraniana’: “Come in Iran, esiste in Iraq una domanda di democrazia che potrebbe cambiare le cose, in senso positivo o negativo. La recente esclusione di una parte dei concorrenti al voto (in puro stile iraniano) ha riacceso il dibattito sull’influenza iraniana nel Paese e ha riaperto vecchie ferite. Al tempo stesso, – conclude Negri – il tentativo di instaurare un modello statale di tipo libanese (ossia basato sulla divisione delle cariche statali in base alle confessioni) espone l’Iraq al rischio di nuovi conflitti”. Senza contare che “la questione della violenza sui civili costituisce tuttora il problema più grave in Iraq”, precisa Ismaeel Dawood, responsabile del Programma Iraq per Un Ponte per, ricordando che “dopo una flessione nel corso dell’ultimo anno, nei primi mesi del 2010, i casi di violenze sono ricominciati ad aumentare”. “Spesso – afferma Dawood – gli autori di queste violenze sono le truppe di occupazione Usa e in questi casi, il vero problema è costituito dalla mancanza di responsabilità di cui godono i militari americani in Iraq”. L’inizio del 2010 ha fatto registrare anche un aumento di attentati e rapimenti, mentre le violenze politiche, come quelle compiute nel Nord ai danni delle minoranze, hanno il “preciso scopo di fare pressione su queste comunità per cambiare gli equilibri demografici di queste aree”.

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