Ci saranno giornalisti questa mattina ad ascoltare Estela Carlotto (nella foto sotto a destra), presidente delle Abuelas de la Plaza de Mayo, nell’aula della Prima Corte d’Assise al Tribunale di Roma, edificio B, ammezzato, poco dopo le 11? Si processa l’ammiraglio Massera, un feroce militare argentino, assassino che ha partecipato nel ’76 in Argentina alla mattanza dell’Esma , la scuola militare trasformata in un lager di torture che ha ingoiato da sola oltre cinquemila dei 30 mila “desaparecidos” argentini.
Estela racconterà di nuovo la più tragica delle storie di quell’abisso di torture, la condizione delle prigioniere incinte che, allora, tra la vita e la morte partorirono dentro la prigione oscura dei golpisti argentini bambini poi strapparti alle madri. Partorirono infatti figli che poi furono dati a famiglie “vicine” ai militari, se non ai militari stessi, mentre loro le madri finivano perlopiù gettate in fondo all’oceano, buttate giù dagli aerei come come fardelli ormai inutili dopo giorni e giorni di torture.
Estela Carlotto, con una figlia che si occupa oggi del Conadi l’organismo per i riconoscimenti postumi di questi ragazzi strappati alle loro famiglie vere, è stata ieri sera alla Casa del Cinema dove si proiettavano due opere sul dramma dei desaparecidos realizzate da Daniele Cini, “La sirena” e “Noi che tuttavia siamo vive” (sopra un’immagine del muro a Buenos Aires con i nomi dei 30 mila desaparecidos). Due lavori di grandissima intensità, soprattutto il secondo che è uno straordinario film documentario vincitore del Globo d’oro della stampa estera realizzato col concorso di RAI 3, ministero degli esteri e INCAA.
Il film narra la storia di donne di tre generazioni (madri di desaparecidos, detenute sopravissute e figlie nate durante la prigionia) raccontata attraverso le loro testimonianze durante il processo penale svolto a Roma – tra il 2006 e il 2007 – per il sequestro e l’uccisione di cittadini di nazionalità italiana, scomparsi durante la dittatura della giunta golpista Videla. Ci sono le immagini con le deposizioni al processo nell’aula bunker di Rebibbia, in un’aula che mostra la latitanza dei mass media italiani: oltre agli avvocati e a qualche astante l’aula, enorme, appare vuota.
Eppure lì, come ha documentato Daniele Cini, è stata raccontata una storia straordinaria di morte e di vita: quella che affianca ai volti molti belli dei giovani militanti mandati a morte dagli orridi golpisti anche il futuro che è scappato alle grinfie dei golpisti, questi ragazzi che grazie all’infaticabile lavoro delle “abuelas” cominciano oggi a cercare le loro vere radici.
“Nel film sono 85 i ragazzi che hanno ritrovato le loro famiglie originarie, ma in realtà siamo già arrivati a 101 – ha ricordato Estela Carlotto -. Certo ne mancano ancora circa 400…Ma questa battaglia per la verità e la giustizia continuerà. E quando non ci saremo più noi (Estela ha 79 anni) ci saranno questi ragazzi…”.
Questa mattina in aula Estela Carlotto continuerà ad accusare gli assassini di sua figlia. Con lei anche la figlia Claudia. A rincuorarle è venuta qua con loro una giovane nipote. La vita, nonostante la barbarie fascista, continua. Chi vuole proiettare il bel film di Cini non ha altro che da chiederglielo (danicini@gmail.com)