Nicola Arigliano aveva avuto il coraggio di partecipare a “Ultimo tango a Zagarolo”, che poi a cose fatte come scrisse Goffredo Fofi in un eccesso di snobismo era certamente da preferire al modello originale di Bertolucci. Ma decidere di calarsi nei panni del bel Massimo Girotti, il Marcel di Bertolucci amante della moglie del protagonista Brando e pensionnaire triste del piccolo hotel di proprietà del protagonista, è stata senz’altro opera di grande coraggio. Intanto per le sembianze, Girotti era Girotti con o senza Visconti alle spalle in anticipo sul futuro finale smemorato con Ozpetek, e Nicola Arigliano era soprattutto quel nasone addolcito a volte dallia paglietta swing. E poi con Franco Franchi! Invece Arigliano fece faville, così come le aveva fatte con Mario Monicelli nei panni di un soldato in La grande guerra.
Abitava da anni, prima di ricoverarsi in una casa da anziani nel suo Salento, a Magliano Sabina. Lo ricorderanno lì? Chissà, faceva vita ritirata tra i suoi nastri e dischi di uno swing perduto nel tempo. C’è rimasto fino al 2006, apprendo ora, poi si era trasferito. Dovevamo incontrarci, poi come succede a volte l’appuntamento era slittato e non se ne era fatto più nulla. Incontrandolo, avrei voluto ricordargli di averlo sentito cantare al Bussolotto, alle Focette, a fianco di quello spilungone chitarrista jazz di talento che è stato Franco Cerri. Quasi cinquant’anni fa. Peccato. Solo oggi ho appreso che era scappato di casa a 11 anni per reagire ai suoi che non tolleravano la sua balbuzie. Ce l’aveva fatta. Ora che la terra gli sia lieve.