Riprendo dal blog della scrittrice Helga Schneider questa intervista sul suo libro “La baracca dei tristi piaceri”, edizioni Salani.
Centinaia di donne tedesche e polacche, imprigionate nei campi di concentramento per aver avuto, per esempio, una storia d’amore con un ebreo, dal 1942 vennero costrette a prostituirsi nei bordelli istituiti nei lager da Heinrich Himmler, il capo delle SS, per accrescere la produttività dei prigionieri-lavoratori maschi. Alcune sopravvissero a questa vita orribile. Traumatizzate nel corpo e nella psiche, alla fine della guerra cercarono di dimenticare, schiacciate dal peso della vergogna. Per decenni, nessuno ha osato parlare di questo dramma.La scrittrice Helga Schneider (nella immagine a lato) è una donna coraggiosa. Nei suoi libri, il dovere di ricordare è quasi una missione e le vicende storiche di un popolo – quello tedesco – spesso si intrecciano con la sua tormentata vicenda personale di bambina negli anni del nazismo. Figlia di genitori austriaci, Helga Schneider è nata nel 1937, è cresciuta a Berlino e dal 1963 vive a Bologna. Quella italiana è la sua seconda identità, radicata a tal punto da scrivere degli autentici bestseller nella nostra lingua. I suoi libri sono stati tradotti e pubblicati in vari Paesi europei, Stati Uniti, Giappone e Brasile. L’abbiamo intervistata in occasione dell’uscita del suo undicesimo romanzo La baracca dei tristi piaceri (Salani Editore, € 14) che affronta il tema della prostituzione forzata nei lager.
Perché ha deciso di affrontare in un romanzo un argomento così spinoso?
“La violenza sulle donne esiste da sempre, e c’è stata anche durante il nazismo. Negli anni Novanta, uno scrittore, Eugen Kogon, che ha conosciuto personalmente l’esperienza del lager, ha testimoniato dell’esistenza di questi bordelli, che si chiamavano Sonderbau (edificio speciale). Ci sono state interviste e ricerche. Mi sono documentata e ho scelto di costruire una storia. La protagonista, Herta Kiesel, ormai anziana, affida i ricordi dell’orrore che ha vissuto a Buchenwald a una scrittrice italiana.
I prigionieri pagavano due marchi per un rapporto sessuale, soldi che finivano ovviamente nelle mani dei nazisti. Spesso disprezzavano le donne del bordello, convinti che avessero fatto una scelta, e non capivano che anche loro erano vittime, anzi, doppiamente vittime… Questi bordelli furono istituiti in dieci lager.
Le ragazze, scelte fra le più giovani e gradevoli, venivano soprattutto da Ravensbrück. Venivano attirate con la falsa promessa che dopo sei mesi sarebbero state liberate. E quando il loro fisico era distrutto dalla vita che conducevano, venivano riportate a Ravensbrück, dove venivano utilizzate come cavie per esperimenti medici. In quegli anni si sperimentavano i sulfamidici, e molte morirono di infezioni terribili indotte dai medici. Le sopravvissute furono pochissime.”
C’erano anche donne ebree?
“No, mai. E nessun uomo ebreo avrebbe mai potuto frequentare il Sonderbau, per motivi razziali. Erano per lo più tedeschi. Il massimo dell’ipocrisia del regime, che combatteva aspramente la prostituzione nella società, era questa legalizzazione nei lager, con il pretesto di arginare l’omosessualità fra i prigionieri.”