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Siamo abbandonati dal governo: parlano gli operai che occupano la Videocon di Anagni


Riprendo da l’Unità di oggi questo articolo di Gioia Salvcatori (sotto) sugli operai della Videocon di Anagni che stanno occupando l’impianto (nella foto mentre protestano sulla A1)

LA VIDEOCON DI ANAGNI

di Gioia Salvatori

Negli anni 70, 80 e 90 erano «l’aristocrazia operaia» della Ciociaria: contratto a tempo indeterminato, lavoro pulito, qualifica da operaio specializzato, 32 ore settimanali di lavoro pagate come 40, formazione permanente. Oggi occupano la loro fabbrica con le barbe sfatte, gli occhi gonfi, i cappotti consunti e a casa il frigo vuoto. Sono gli operai della Videocon di Anagni, ex Thompson un tempo uno dei più importanti poli europei per la produzione di schermi televisivi a colori. Da venerdì occupano gli impianti con sacchi a pelo e panino. Occupano con la speranza, sfiancata da 5 anni di cassa integrazione e dal senso di abbandono, di salvare 1309 posti di lavoro traballanti da troppo. Domani manifesteranno sotto le sedi della prefettura della provincia di Frosinone supportati da una delegazione di studenti delle scuole superiori del capoluogo, poi sarà «occupazione a oltranza» fino a quando sul tavolo del governo non arriverà un «piano industriale serio e credibile». È un’altra offerta, quello che vogliono i sindacati confederali più Sdl e Ugl: le cinque già pervenute all’indirizzo del ministro Claudio Scajola non li convincono. Il 28 febbraio scade il termine per l’accordo preliminare e ad oggi le proposte più accreditate sono quella della Global energy holding (che non convince gli operai per il basso capitale), e quella della Ssim che opera nel settore dell’acciaio e a Anagni vorrebbe produrre energia eolica dunque non convince per il Know how. Sul tavolo di Scajola c’è anche il gruppo Pufin che fa capo alla famiglia Pugliese, imprenditori avellinesi con un figlio deputato Pdl (ma la loro offerta pare non essere accreditata). Mentre la «trattativa langue e nessuno ci dà notizie certe», lamentano gli operai, il termine del 28 si avvicina come la scadenza della cassa in deroga (30 marzo), e sale la paura. La lotta serve a esorcizzare la realtà del polo chimico-farmaceutico del frusinate: un abisso di crisi, dove negli ultimi due anni sono andati in fumo 3mila posto di lavoro.
Gli operai, in occupazione nella mensa odorosa di chiuso dello stabilimento, quasi tutti uomini over 45, non ne possono più della passerella dei candidati alle regionali largamente compensata, a loro dire, dall’assenza delle istituzioni nazionali: «Ci sentiamo abbandonati dal governo – dicono Paolo, Alessandro e Marco – qui non si è mai visto nessuno e agli incontri ministeriali sulla nostra vertenza con la Regione e la proprietà, non si è mai presentato né un ministro né un sottosegretario…». Si sentono abbandonati e guardano al confine verso l’autostrada Roma Napoli come a un limite che non è più tabù: da superare per spezzare in due l’Italia se non dovesse trovarsi una soluzione. Lo hanno già scavalcato, quel guardrail, tre mesi fa, ma una occupazione di sei ore dell’autostrada A1 non è bastata a farli assurgere agli onori della cronaca nazionale.
Intanto lo stabilimento, fermo definitivamente dal 18 dicembre, diventa archeologia insieme a 5 anni di una storia industriale tutta sbagliata. All’interno dei corpi ocra puzzolenti di muffa della fabbrica dal 2005 giacciono imballati centinaia di metri di macchine. Una linea intera in degrado e abbandono arrivata dall’Asia per produrre schermi al plasma insieme agli indiani della Videcon. D’altronde quest’ultimi avevano intascato da Thompson, ancora oggi nel Cda di Videocon, 185 milioni di euro per rilevare l’impianto. Mentre la linea di produzione ammuffisce perché i proprietari non hanno il brevetto per il plasma e la progettazione del prototipo va a rallentatore, arriva la concorrenza della tecnologia Lcd: ultima pietra tombale di una vana speranza di produzione. Iniziano così nel 2005, 5 anni di cassa integrazione a rotazione per un numero variabile di operai; nel frattempo si produce qualche schermo, si assemblano tv Dei 1300 dipendenti ne lavorano stabilmente solo 300 circa, gli altri prima o poi e con diverse forme conoscono la cassa. C’è Marco che da un anno è a zero ore e non sa cosa raccontare al figlio piccolo quando gli chiede perché va a lavoro ma non guadagna, c’è Carlo che non ha pagato il bollo e porta le bollette dell’acqua al comune. C’è Geraldina che ha 51 anni ed è cassintegrata come il marito conosciuto in fabbrica. Suo malgrado, quando il figlio ormai adulto le fa notare che il frigo è vuoto risponde «tesoro arrangiati, io non posso più provvedere».

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