IL CASO
Avvelenava i bambini per poi salvarli
baby sitter a processo per tentato omicidio
La 31enne è un’amica delle famiglie dei piccoli di 6 anni e 18 mesi. Metteva l’atropina nei succhi di frutta
ROMA – Amica di famiglia accusata di avvelenare i figli delle due coppie che frequentava, in un caso anche come baby sitter. Atropina nei succhi di frutti, per poi contribuire a salvare i piccoli consigliando i medici dell’ospedale in cui erano stati portati d’urgenza sugli accertamenti da fare. «E’ atropina, non vedete?». Un’accusa, pesante come un macigno, si è abbattuta su Tabatha Pacecca, un’italiana di 31 anni figlia di una slovena, originaria di Alatri, già studentessa di biologia. Ad accusarla di tentato omicidio, questa mattina nell’udienza preliminare davanti al Gup Bonaventura, che ha rinviato ad una nuova udienza per il 18 marzo con un nuovo gup, il Pm Clara De Cecilia al termine di una complessa indagine del commissariato Salario Parioli dove era stata presentata oltre un anno fa la denuncia di una famiglia colpita con un bimbo ricoverato di appena 18 mesi.
ATROPINA – Il veleno utilizzato? L’atropina che può causare blocco del sistema nervoso e complicazioni ancora più gravi fino al decesso. La Pacecca, arrestata un anno fa, ha già scontato sette mesi di carcere. Una perizia psichiatrica l’ha dichiarata sana di mente. A difenderla gli avvocati Francesco Caroleo Grimaldi e Angelo Testa. A tutelare la prima famiglia colpita, l’avvocato Valerio Spigarelli. I fatti. Oltre un anno fa un bambino di 18 mesi viene ricoverato all’ospedale del Bambino Gesù. Arriva con vomito, rossore agli occhi e alle guance, altri sintomi che in breve portano a diagnosticare un’intossicazione da atropina. Particolare subito stonato, la presenza in ospedale dell’accusata che insiste con i medici per questa ipotesi, anticipando i risultati delle analisi. Analisi che poi vengono confermate anche dall’ospedale di Pavia: è atropina. I genitori tornati col bimbo a casa dimesso con la diagnosi di intossicazione da atropina sporgono denuncia. C’è un’altra famiglia che risulta colpita: una bimba di sei anni ha mostrato analoghi sintomi. Anche lì è passata la Pacecco. In questo secondo caso avrebbe svolto anche funzioni di baby-sitteraggio. Le indagini della polizia giudiziaria puntano sulla coincidente presenza della Pacecco, che viene arrestata. Sul suo conto, come studentessa di biologia, viene aggiunta anche a suo tempo la sottrazione di un camice da medico al Policlinico Umberto I. La sua passione per il ruolo appare più che sospetta. Insomma un’amica di famiglia e una tata “perfetta” che forte delle sue conoscenze acquisite all’università cercava di accreditarsi anche come un medico, funzione che avrebbe vantato durante le sue apparizioni al Bambino Gesù dove si dava da fare per consigliare la diagnosi di atropina e poter quindi permettere le cure del caso e gli antidoti necessari.
CAMICE RUBATO – Una storia horror: secondo gli inquirenti l’ingestione dell’atropina sarebbe avvenuta tramite succhi di frutta in cui era stata messa la pericolosa sostanza. Per i detective del commissariato Parioli e per il pm Clara De Cecilia i risultati di quei test equivarrebbero a una sorta di confessione. Durante le perquisizioni, gli investigatori avevano trovato un camice rubato all´Umberto I e alcune prescrizioni mediche. «La nostra assistita però ha sempre negato di essere stata lei a somministrare quella sostanza che poteva essere stata assunta accidentalmente per via di alcuni farmaci presenti nelle abitazioni dei bambini – spiega l’avvocato Francesco Caroleo Grimaldi –. In ogni caso non si può parlare di tentato omicidio, quel dosaggio d’atropina non avrebbe mai potuto causare un decesso».
Paolo Brogi
02 febbraio 2010© Corriere della sera online RIPRODUZIONE RISERVATA