Sono una cinquantina. In venti hanno trovato da dormire al coperto. Gli altri si arrangiano come possono, tra i dintorni di Termini e l’Esquilino. Sono i “neri” scappati da Rosarno e approdati a Roma che stamattina hanno improvvisato una conferenza stampa nei giardinetti di piazza San Marco, a Roma, dove si sono attendati in passato tanti altri disgraziati. Altri scappati da Rosarno, duecento in totale secondo le stime degli stessi immigrati, sono presenti a Roma ma non sono intervenuti per paura di ritorsioni.
“I mandaqrini e le olive non cadono dal cielo”, s’intitola il volantino bilingue (italiano e francese) con cui si presentano.
Assistiti dalla rete antirazzista romana i cinquanta “rosarnesi” (foto di Cecilia Fabiano) hanno chiesto di usufruire, come gli undici loro compagni feriti nella icittadina calabrese e lì rimasti, della protezione di un permesso di soggiorno concesso per motivi umanitari.
A far da portavoce, Yamadou di 24 anni, Nadin ugandese, Amid del Mali.
“Ringraziamo le organizzazioni e le reti autogestite – hanno premesso – come quelle del Pigneto, con l’ex Snia di via Prenestina, l’osservatorio antirazzista territoriale, il comitato di quartiere, l’assemblea delle donne del consultorio e tanti altri. Solo queste realtà ci hanno aperto le loro porte improvvisando ospitalità”.
Le istituzioni, insomma, hanno guardato altrove.
“A Roma siamo arrivati in circa duecento – spiega Nadin, dell’Uganda -. Quelli che oggi sono potuti scendere in piazza per raccontarsi sono però molti meno. Parecchi hanno paura di essere fermati dalla polizia”, spiega Amid, 27 anni, del Mali.
Poi la denuncia. Molti di loro sono stati rinchiu8si nei centri di detenzione per immigrati e lì dentro restano. Altri sono tornati in Africa. Altri ancora si sono sparpagliati nelle città del sud.
“Ora noi che siamo a Roma ci ritroviamo senza lavoro, senza un posto in cui dormire, senza i nostri bagagli e con i salari ancora non pagati nelle mani dei nostri sfruttatori…”.
E ancora: “Eravamo riusciti a trovare un lavoro che abbiamo perduto semplicemente perché abbiamo domandato di essere trattati come esseri umani. Non siamo venuti in Italia per fare i turisti. Il nostro lavoro e il nostro sudore servono all’Italia come servono alle nostre famiglie che hanno riposto in noi molte speranze”.
Infine: “Domandiamo alle autorità di questo paese di incontrarci e di ascoltare le nostre richieste”.
Insomma: “Vogliamo che il governo di questo paese si assuma le sue responsabilità e ci garantisca la possibilità di lavorare con dignità”. A partire da un permesso di soggiorno per motivi umanitari.