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D’Alema, come licenziare i 14 dipendenti di Red tv. Ce lo spiega Mario Adinolfi

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Cundari e D’Alema nella redazione di Red tv
Dal blog di Mario Adinolfi:
«Questa è l’ultima settimana di lavoro a Red Tv, dalla prossima settimana tutti i lavoratori del canale satellitare figlio di Nessuno Tv saranno in cassa integrazione, resterà acceso pro forma solo il segnale.

Penso ai miei tredici colleghi assunti a tempo indeterminato, ma soprattutto ai quattro a tempo determinato già espulsi dal ciclo produttivo a gennaio e privi anche di strumenti di tutela. Si rincorrono progetti per una possibile riapertura più in là nel tempo, ma non ci spero granché. Meglio attrezzarsi per fare altro.

La responsabilità di questa chiusura? Certamente di Giulio Tremonti e dei suoi tagli al fondo sull’editoria. Ma qualcuno mi deve ancora spiegare perche Red Tv, la tv di Massimo D’Alema, sia l’unica delle testate coinvolte dal taglio a mandare subito i suoi dipendenti in cassa integrazione. Anche qui una spiegazione tecnica c’è: gli “imprenditori” che in questi anni hanno lavorato sul meccanismo fondi pubblici-anticipazione bancarie per via del diritto soggettivo, in assenza di tale diritto non vogliono mettere a rischio dei denari loro per tenere in vita e in efficienza il canale. E allora, via alla cassa integrazione, pagata da Pantalone. A mio avviso, un errore strategico. Ma in linea con quanto accaduto negli ultimi tempi.
Da quando, cioè, poco più di un anno fa Massimo D’Alema volle far vedere a Walter Veltroni che era più bravo di lui pure sul suo terreno e così si prese Nessuno Tv, una giovane e brillante e incasinata televisione che si occupava di politica sul canale 890 di Sky. Se la prese senza cacciare un euro, ovviamente: solo garantendo “copertura politica” e inviando una serie di personaggi che lavorarono con noi gratis per qualche mese, capitanati da Lucia Annunziata. Con la promessa della “copertura politica” (finalizzata ovviamente all’ottenimento dei fondi) D’Alema si prese due membri del consiglio d’amministrazione, cambiò il nome al canale, a giugno ottenne la sostituzione del direttore: Claudio Caprara, dalemiano sì ma poco ortodosso, venne ringraziato e al suo posto arrivò Francesco Cundari. “Direttore” assolutamente osservante, imitazione vivente del Capo che venera, fratello di latte di Matteo Orfini, consigliere d’amministrazione di Red Tv oltre che membro della “segreteria dei segretari” del Pd con delega all’informazione. Cundari, per sua stessa ammissione, di tv capisce zero, non ha un curriculum particolarmente brillante: fa fatica a scuola, bocciato all’esame da giornalista, laurea manco a parlarne, ma questo è un punto d’onore per i dalemiani, il Capo non s’è laureato dunque manco loro.
Cundari è però efficiente nel far sparire tutti gli elementi problematici del canale. Entro novembre riesce a cancellare ogni programma dove si parla di politica (Morning Show, Finimondo, Red-azione, Tribuna Politica, Titoli di Coda, solo quest’ultimo verrà reintrodotto dopo una protesta ma solo per sottolineare l’azione di Tremonti sui fondi) e la programmazione diventa un rosario televisamente inguardabile. Poiché i non laureati hanno il complesso della cultura (è un problema anche di Veltroni), si susseguono trasmissioni di una noia mortale su musica, filosofia, arte, religione, teatro o puro nulla a conduzione di famigli della Fondazione Italianieuropei. Con l’aggiunta di episodi di meschinità infinita: il redattore costretto alle dimissioni perché aveva osato esprimere una critica; due tecnici allontanati per una risposta giudicata non consona al “direttore” (”la prossima volta ne caccio quattro”, mi disse in pieno delirio mentre io sgranavo gli occhi all’ennesima enunciazione del colpirne-uno-per-educarne-cento).
Conseguenza? Noi che eravamo abituati a far discutere con le nostre interviste, entrando quotidianamente nel dibattito politico del paese, spariamo dalla percezione dei colleghi, iniziamo a non esistere più. Le professionalità interne sono mortificate. Ovviamente in questo clima i tagli al fondo dell’editoria diventano un colpo mortale, soprattutto quando si scopre che il Partito democratico ha deciso di puntare i suoi investimenti su YouDem, il canale immaginato da Walter Veltroni, ora preda dei bersaniani attraverso Stefano Di Traglia.
A Cundari viene affidato un ultimo compito: scaricare su Dario Franceschini la responsabilità della chiusura di Red Tv. E lui, diligente, una sera si mette a rincorrere i miei colleghi anche fuori dalla porta mentre vanno a casa inventando un fantomatico caso su una nomina su cui il capogruppo del Pd si sarebbe messo di traverso facendo irritare Tremonti. Una scena pietosa, ripetuta più volte, ovviamente in mia assenza perché si sa che i servi sono sempre un po’ vili.
Racconto tutte queste vicende perché resti una lezione a chi ci proverà dopo di noi: io, infatti, resto convinto che lo spazio per una televisione di nicchia che parli al popolo delle primarie ci sia. Non credo debba essere una tv di partito, deve essere una tv di area, per questo la scelta del Pd di puntare su YouDem (cioè una tv finanziata direttamente e direttamente controllata, con tutto ciò che questo comporta in termini di libertà editoriale) sia un errore strategico. L’errore, più complessivo che riguarda i dirigenti del Partito democratico (Massimo D’Alema e i suoi seguaci in primis) è che si debba far prevalere sempre l’affidabilità dell’appartenenza alla libertà della competenza, il grigiore dell’esecutore all’intelligenza del fantasista, l’obbedienza al merito. E’ un limite, il limite più forte del post-comunismo: il non sapersi veramente e radicalmente mettersi in discussione, avendo una pretesa di verità totalmente disattesa dai fatti. Tutto questo emerge dalla triste fine di Red Tv. Insieme ai guai del dualismo D’Alema-Veltroni, la palla al piede sempiterna dei democratici.
Ho lavorato per questa emittente cinque anni. Ho scritto e condotto qui sette programmi (Contro Adinolfi, Polifemo, Partita Democratica, Marioadinolfi.it, Streetcam, Morning Show e Finimondo) che insieme ai tre fatti per la tv generalista (Pugni in Tasca per Mtv, Tornasole e Settimo Giorno per la Rai) rappresentano cinque anni straordinari da me trascorsi a raccontare il mondo e le mie idee tramite la televisione. Soprattutto ho lavorato con colleghi di grandissima qualità professionale e umana. Sono triste per loro, meritavano una sorte migliore. Non mi sono mai svegliato pensando di dover andare in redazione con un senso di fastidio: non è una condizione abituale, negli ambienti di lavoro.
Massimo D’Alema in questi giorni di difficoltà non si fa né sentire né vedere. Forse potrebbe passare, dire una parola a un gruppo di ragazze e ragazzi (quattordici dipendenti, quattro contrattualizzati senza tutele, almeno venticinque tra collaboratori e tecnici) che finiranno in mezzo a una strada. Ma, si sa, comunisti e preti sono i padroni peggiori. Di oltre novanta testate in difficoltà, la sua è l’unica che manda subito i dipendenti in cassa integrazione e rinuncia alla battaglia, alza la bandiera bianca sul fortino. Capisco che Veltroni non c’è più e dunque il giochino ha perso interesse, ma magari poteva dimostrarsi un po’ più attaccato alla sua creatura e alle persone che l’hanno tenuta in piedi. Anche una dichiarazione pubblica, in queste settimane di lotta completamente mancata, dimostrerebbe che sa che il capitano non si defila dalla nave che affonda.
In redazione c’è una strana euforia: serve a negare forse a noi stessi la portata di questa grave sconfitta, che inciderà pesantemente nella vita di ciascuno. I
o sono triste, l’ho detto, e anche arrabbiato. Questo è stato un pezzo della mia vita. Non il pezzo peggiore. Ci si vede in giro, ragazzi».

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