I media italiani sembrano non accorgersene. Ma a Brescia il processo per la strage di Brescia che causò otto morti e un centinaio di feriti è giunto alla 97esima udienza. Cinque gli imputati alla sbarra: Carlo Maria Maggi, Maurizio Tramonte, Delfo Zorzi (sotto), Pino Rauti (accanto, nella foto insieme ad Almirante) e Francesco Delfino, l’ufficiale dei carabinieri rimasto poi invischiato nel rapimento dell’amico Soffiantini alla cui famiglia è stato accusato di aver tentato di sottrarre 800 milioni di lire per il riscatto. Ma a Brescia , udienza dopo udienza, ne desdcono di storie sullo stragismo e sul comporetamentop degli apparati delloo stato. Recentemente ha deposto Andrea Arcai, attuale assessore alla Cultura del comune di Brescia. All’epoca della strage era poco più di un ragazzino, figlio del giuduce istruttore Giovanni Arcai.
Arcai fu oggetto di una grave manipoolazione stragista. L’allora capitano dei CC Francesco Delfino, capo del Nucleo investigativo di Brescia che curava le indagini del pm Francesco Trovato e del giudice istruttore Domenico Vino, tentò di incastrarlo.« Mio padre [il giudice Arcai] – ha spiegato l’assessore – era convinto che il mio coinvolgimento nella prima inchiesta sulla strage di piazza Loggia fosse stato un modo per estrometterlo dall’inchiesta sul Mar di Carlo Fumagalli». E così era stato. Nell’ipotesi più benevola per loro, i due magistrati furono ingannati da Delfino che utilizzò un teste manovrato, Ugo Bonati, che ne trasse benefici economici, un poveraccio anch’esso manovrato, Angiolino Papa, e un povera ragazza, Ombretta Giacomazzi che fu vessata da Delfino. Il risultato fu un depistaggio che ha pesatoa lungo sull’inchiesta, con più obiettivi in canmlpo come si intuisce. Non solkola strfage di Brescia, ma anche l’impunità per gli “amici” di Fumagalli.