Sessanta ragazzi iraniani, che hanno il coraggio di metterci la faccia. Stasera per un’ora e mezzo davanti alla buia ambasciata del loro paese, Iran, dove due giovani sono stati appena impiccati per moharreb, l’accusa di essere contro dio. Candele, sciarpette verdi, la bandiera nazionale come uno striscione, i canti. Uno colpisce, è “Il mio amico della scuola elementare”, nel ’79 era il canto laico della rivoluzione. C’è freddo sulla Nomentana, di fronte al civico 361. Solo due granatieri di Sardegna, che fanno la guardia, Poi anche carabinieri e polizia, più in lontananza un bengalese che si arrangia per qualche spicciolo a un distributore di benzina self service. Il grido più ricorrente è morte al dittatore, in farsi. Pochi gli italiani che si sono uniti a questa protesta improvvisata per la morte di Arashe Rahmanipour e Mohammed Reza, di 19 e 27 anni. I giornali italiani neanche ne hanno parlato oggi, per avere notizie bisogna rivolgersi a siti esteri come quello della Bbc online. Eppure ci sono altri 19 condannati a morte in Iran. Sabato pomeriggio alle 16 i ragazzi iraniani di Roma ci riprovano a Piazza del Popolo, in appoggio al movimento delle “Madri in lutto”. Domani sera andranno alla Casa internazionale delle donne, pensano all’8 marzo. Prima però nei giorni in cui si celebrerà la rivoluzione (11 febbraio) prepareranno una protesta per il 14. Non sono tanti, ma hanno fierezza nei loro occhi e non hanno paura di mostrarsi con le loro facce agli aguzzini di Teheran.
Mercoledì sera si sono presentati all’Auditorium, sono riusciti a lanciare qualche grido di libertà durante il concerto della filarmonica dell’Iran, presente l’ambasciatore. Agli ingressi, come riferisce il blog “amici dell’iran” alcuni di loro sono però stati identificati, con fotocopia coatta dei documenti, da elementi della vigilanza interna privata ingaggiata dall’Auditorium. Un fatto riferito stasera anche dai diretti interessati e che se confermato la dice lunga sugli abusi che si stanno commettendo anche in questo paese.
Paolo Brogi