Ai negazionisti Piero Terracina, unico sopravvissuto della sua famiglia, ha detto oggi in tutta semplicità: ecco, sono rimasto vivo solo io, non vi basta? Nel giorno in cui sono stati posizionate le “pietre d’inciampo” a Roma, per ricordare trenta deportati, la cerimonia a Monteverde in piazza Rosolino Pilo di fronte al civico 17 dove abitavano i Terracina è stata particolarmente densa di commozione. Sette sampietrini lucenti con i nomi dei Terracina deportati e morti nei lager. Il nonno Leone David che era nato il primo settembre del 1860, il padre Giovanni di 56 anni, la madre Lidia Ascoli di 57, la figlia Anna di 23, il figlio Leo di 21, Cesare di 20 e Amedeo di 49. Fu un fascista che seguiva per strada Anna, bella e avvenente, a scoprire il posto in cui in quel 7 aprile del ’44 si erano rifugiati i Terracina. Si erano radunati per festeggiare la Pesach, la Pasqua ebraica. (Qui accanto Piero Terracina e, sopra, insieme al presidente del XVI Municipio Fabio Bellini e ad Adachiara Zevi)