Non c’erano numeri verdi nel 1910. Anzi i numeri telefonici erano pochi e quello del sindacato cronisti romani, appena formato, era nientedimeno che 12-34. C’era Giolitti, c’era il giolittismo, perfino Pascoli si entusiasmava per l’imminente impresa di Libia ma a Roma stava nascendo allora una generazione di bravi cronisti, che solo il fascismo più tardi con la mordacchia alla stampa e alla cronaca, sarebbe riuscito a sgominare. Momentaneamente, però, anche se vent’anni non sono pochi, perché col dopoguerra i cronisti tornarono a moltiplicarsi più forti che mai. I fatti di cronaca e i cronisti sono da sempre il termometro di una buona stampa. Quando vengono meno, vuol dire che manca qualcosa di importante. Cento anni di vita per il sindacato cronisti vuol dire anche questo. Cronisti sono stati Matilde Serao, Eduardo Scarfoglio, Enrico Mattei, Orio Vergani, Silvio Negro, Guido Piovene, Emilio, Buzzati. E tantissimi altri, a cominciare da quei primi sessanta che il 5 agosto del 1910 si riunirono in assemblea costituente a mezzogiorno in una stanza a pianterreno di via Due Macelli 12. A concedere il locale era stato Costanzo Chauvet proprietario dell’omonimo palazzo e direttore de “Il Popolo romano” (ancora oggi il nome della testata appare in bella vista nel fronte dell’edificio). I cronisti appartenevano alle testate importanti dell’epoca: “Il Messaggero”, “La Tribuna”, “Il Popolo romano”, “Il Giornale d’Italia”, “L’Osservatore romano”, “ Corriere d’Italia” e “Idea nazionale”. Nasceva così il Sindacato cronisti a un anno di distanza dalla Federazione nazionale stampa italiana che aveva riunito le associazioni regionali e lo stesso gruppo specialistico dei cronisti.
Partito agli albori con l’etichetta di sodalizio impegnato anche in attività solidaristiche secondo le ricette caritatevoli dell’epoca – spiega Romano Bartolini segretario del Sindacato cronisti di oggi, organismo che raccoglie 400 cronisti di carta stampata, radio-tv e online -, consolida oggi come scopi principali la tutela del diritto del cittadino ad essere compiutamente informato, e promuove rapporti di franca correttezza con le fonti di informazioni, innanzitutto la fonte primaria, la gente/l’uomo della strada; senza trascurare le sue radici di spirito di servizio e di dedizione per la città e la sua popolazione, con confronti/scontri con le autorità, convegnistica, attività editoriale.
Il Messaggero aveva inaugurato proprio quell’estate la pagina della cronaca di Roma: il 21 giugno 1910 aprì con un pezzo “Ancora sulla malaria”, seguivano titoli sugli “Impiegati e le elezioni amministrative”, “La festa degli ascolani”, “Il grave ferimento di via dell’Armata”. Furono le notizie di cronaca e le cronache giudiziarie dei grandi processi, allora non c’erano i patteggiamenti a sottrarli all’opinione pubblica, – spiega Bartoloni – a decretare il successo dei giornali di una città all’avanguardia in Italia nel numero dei quotidiani stampati, e in particolare le fortune di tre: “La Tribuna” con 60mila copie, “Il Messaggero” con 45mila e “Il Popolo romano” con 35mila, peraltro ubicati a un tiro di schioppo l’uno dall’altro, il primo in via Milano e poi a palazzo Sciarra (in convivenza con “Il Giornale d’Italia”), il secondo in via del Tritone e il terzo appunto in via Due Macelli.
Poi venne il fascismo con la sua ventata di presunta moralizzazione, che segnò la smobilitazione della cronaca nera e non solo. La cronaca tornerà dopo la caduta del regime e terrà banco negli anni del dopoguerra con gli strilloni che si facevano sentire nelle vie del centro e nella galleria allora Colonna. Spiccavano su tutti i titoli di “Paese Sera”, “Il Giornale d’Italia” e “Il Momento Sera”. E oggi? Cronache cittadine nuove come quelle del
Paolo Brogi
(comparso su Il corriere della sera il 10.1.2010)