OTTANTESIMO ANNIVERSARIO DI GUIDO PICELLI (1937-2017)
SU RAI STORIA IL 3 GENNAIO 2017 IL FILM “IL RIBELLE – GUIDO PICELLI UN EROE SCOMODO”
In occasione dell’ottantesimo anniversario della scomparsa di Guido Picelli, avvenuta il 5 gennaio 1937 ad Algora durante la Guerra di Spagna, RAI STORIA ha acquistato i diritti del film documentario di Giancarlo Bocchi “Il Ribelle, Guido Picelli un eroe scomodo” che verrà trasmesso il 3 gennaio 2017 alle ore 22.30.
Il film racconta, con le voci di Valerio Mastandrea (voce narrante) e Francesco Pannofino (voce di Guido Picelli), l’avventura di un uomo che visse da protagonista la storia d’Italia e d’Europa del Novecento, che si batté per l’affermazione della giustizia sociale e che si oppose a ogni forma di totalitarismo.
Guido Picelli nell’agosto del 1922 sconfisse con i suoi 400 Arditi del Popolo diecimila fascisti di Italo Balbo durante i cinque giorni della Battaglia di Parma, ottenendo la prima vittoria militare sul fascismo in Europa.
Primo sostenitore dell’idea del “Fronte unico antifascista”, autore di gesti eroici e clamorosi, ridicolizzò il regime fascista inalberando il 1 maggio del 1924 la bandiera rossa sul palazzo del Parlamento italiano.
Sfuggì ai numerosi agguati fascisti tentando di far insorgere l’Italia contro Mussolini. Imprigionato e poi confinato per 5 anni a Lipari, nel 1932 beffò la polizia politica fascista fuggendo in Francia, dove svolse un’intensa attività politica antifascista. Giunto in URSS fu emarginato e duramente perseguitato dal regime stalinista.
Durante la Guerra di Spagna, alla testa del Battaglione Garibaldi dei Volontari Internazionali, ottenne il 1 gennaio 1937 a Mirabueno la prima vittoria repubblicana sul fronte di Madrid.
Mentre preparava un attacco contro il nemico franchista sul monte San Cristobal, il 5 gennaio 1937, una pallottola lo fulminò, colpendolo alle spalle all’altezza del cuore.
Attraverso documenti degli archivi russi e spagnoli, rimasti segreti fino ad oggi, molte pellicole rare o inedite, questo film racconta, per la prima volta, la storia di un eroe scomodo, dimenticato, ma attualissimo per le sue idee sociali e politiche, di un “ribelle” la cui morte è rimasta fino ad ora avvolta nel mistero.
Il film documentario “Il Ribelle, Guido Picelli un eroe scomodo” è stato presentato con successo anche all’estero a Madrid, Parigi e Mosca.
In occasione dell’ottantesimo anniversario di Guido Picelli, nei prossimi giorni uscirà nelle librerie anche il libro di Giancarlo Bocchi “La nostra legge la libertà. Scritti e documenti di Guido Picelli sul carcere e sul confino fascista”.
Giancarlo Bocchi è l’autore di diversi libri: “Il Ribelle. Guido Picelli una vita da rivoluzionario”, “Il Ponte di Sarajevo”, “L’assedio. I mille giorni di Sarajevo” e “L’età della guerra”, un libro sulla “resistenza silenziosa” dei bambini ai conflitti contemporanei uscito in questi giorni nelle librerie. Ha collaborato con “Alias”, “l’Espresso”, “il Diario”, “il Fatto”, “il manifesto”, “La Repubblica” e come regista ha firmato alcuni film per il cinema, come “Nemaproblema” e una quarantina di documentari sulla cultura e sui conflitti contemporanei che hanno ottenuto riconoscimenti in diversi festival internazionali e sono stati trasmessi dalle maggiori reti televisive.
La pagina FACEBOOK DEL FILM:
https://www.facebook.com/pages/Il-Ribelle-Guido-Picelli-un-eroe-scomodo/146125265431884
IL TRAILER del film:
https://www.youtube.com/watch?v=o7PXjOxI-ys
Il capitolo che ho dedicato a Guido Picelli e agli Arditi del Popolo nel mio libro “Eroi e poveri diavoli della Grande Guerra” (Imprimatur, 2014)
….e gli Arditi del Popolo di Guido Picelli
Era andato alla Grande Guerra senza condividerla. Ma c’era andato. Il senatore comunista Umberto Terracini lo ricordò in questa sua contraddizione parlando a Parma dentro un Teatro Regio gremito nel trentesimo anniversario della scomparsa avvenuta nel 1937 in Spagna, in circostanze mai del tutto chiarite.
“Picelli – disse Terracini al teatro attentissimo in quel lontano 1967 -, nonostante che la sua convinzione socialista lo avesse posto contro all’intervento, fu durante la guerra un soldato esemplare e per quattro anni espose sul fronte ogni giorno la sua vita, guadagnando il grado di tenente, una medaglia al valore ed anche una grave ferita ad una gamba che rimase per sempre lesa e che lo obbligò successivamente sempre ad una andatura zoppicante…”. Beffardo e coraggioso, le due principali note di carattere con cui lo avrebbe descritto al momento della morte in Spagna il “repubblicano” Randolfo Pacciardi che col comunista Antonio Roasio ha condiviso i suoi ultimi momenti, Guido Picelli aveva probabilmente scoperto in quella terribile guerra il succo da cui avrebbe ricavato una delle pagine antifasciste più note di tutto il primo dopoguerra, trasformare una parte consistente di quegli uomini pronti a tutto che erano stati gli “arditi”, reparto scelto della guerra di trincea, in “arditi del popolo” pronti a battersi contro l’ondata nera che avrebbe poi travolto tutto. Bella idea frutto della guerra, mettere in campo questi soldati pronti alle azioni più temerarie, gli arditi, che nelle battaglie si erano distinti per azioni che la propaganda nazionalista del tempo portava ad esempio.
Picelli li aveva visti all’opera, ne conosceva parecchi soprattutto quelli che venivano dalla sua Emilia, li avrebbe ritrovati dopo la fine della guerra come reduci spesso incattiviti e pronti in larga misura ad affidarsi al fascismo nascente. Non tutti, però, una parte sarebbe diventata invece l’opposto, dando vita all’epopea degli arditi del popolo che proprio a Parma e nel quartiere dell’Oltretorrente avrebbe messo a segno la lunga e vittoriosa resistenza contro i fascisti guidati da Italo Balbo. Una pagina di storia indimenticabile.
Ecco che cosa aveva visto nelle trincee il giovane socialista Picelli andato al fronte quando aveva solo ventisei anni. Aveva visto oltre la miseria e gli eroismi, il dolore e la rassegnazione anche un popolo proletario che poi avrebbe pronto battersi anche per qualcosa di diverso. Picelli era un socialista dall’animo irrequieto venuto su da una famiglia modesta – il padre era un cocchiere – che l’avrebbe voluto orologiaio. Ma lui a 17 anni era già scappato da casa per che costruirsi un altro futuro, da attore con la compagnia teatrale di Ermete Zacconi all’epoca tra i maggiori interpreti della scena. Riacciuffato a 23 anni dal padre e ricondotto in una orologeria per misurarsi con un vero mestiere, tre anni dopo aveva scoperto davvero il mondo entrando nel gran carnaio della guerra. Lì, tra una trincea e l’altra, Guido Picelli infatti si era dedicato soprattutto al soccorso dei feriti. Era stato volontario nelle file della Croce Rossa Italiana ricevendo, per l’eroismo dimostrato nel soccorrere i caduti oltre le linee, la medaglia di bronzo al valor militare e la medaglia di bronzo della Croce Rossa Italiana. Verso la fine della guerra era stato inviato dall’esercito all’Accademia militare di Modena da dove era uscito col grado di sottotenente, posizione a cui due anni dopo avrebbe pubblicamente rinunciato. Picelli si era messo in luce per la dedizione e la tenacia nel soccorrere chi ne aveva bisogno, recuperando feriti in situazioni in cui si metteva a repentaglio anche la propria vita. Il ferimento subito ne era una conferma. In mezzo alle sofferenze aveva capito che un altro mondo era possibile.
La prima cosa che Guido Picelli fece alla fine della guerra fu costituire nella sua Parma nel novembre del 1918 la “Lega proletaria mutilata invalidi reduci orfani e vedove di guerra”. Era un’associazione nazionale legata al Partito socialista e alla Camera confederale del Lavoro. A confronto con altre associazioni di ex combattenti questo organismo rivendicava la solidarietà di classe e il superamento dei legami gerarchici propri dell’esercito. Si proponeva come fine uno Stato operaio contrapposto allo Stato dei nazionalisti. Sul piano materiale nel quadro della smobilitazione bellica la Lega serviva a soccorrere le famiglie dei caduti e a trovare lavoro per chi non ce l’aveva più.
A Parma Picelli veniva intanto tenuto d’occhio, il prefetto in un cenno biografico che gli dedicò nell’agosto del 1920 per il Casellario politico centrale scriveva che la propaganda portata avanti da Picelli veniva attuata “con notevole profitto”. Sessantamila, su una popolazione di 360 mila abitanti, erano i reduci di Parma, un esercito davvero imponente da cui Picelli cercava di estrarre il meglio e che già nel 1920, durante l’occupazione delle fabbriche, fece da base per la neocostituita “Guardia rossa”, una formazione che anticipava quelli che sarebbero stati gli “Arditi del Popolo” formatisi poi a livello nazionale nel 1921. Con i suoi compagni della “Guardia rossa” fu incarcerato per aver tentato di impedire la partenza di un treno di Granatieri diretto in Albania, a difesa della base di Valona, avamposto di penetrazione colonialista . Fu scarcerato l’anno successivo, nel 1921, quando fu eletto al Parlamento con un voto plebiscitario dei suoi concittadini. Fu quello il momento in cui volle rinunciare al grado di sottotenente. Intanto in giro si agitavano le bande fasciste. Nei borghi rurali venivano assaltate e date alle fiamme sedi di cooperative. “Circa 150 persone, tra i quali minorenni sempre armati di una o due rivoltelle – così li descriveva nel luglio del ’21 il deputato socialista Armando Bussi in una denuncia al Sottosegretariato all’Interno contro le devastazioni di sedi, le incursioni notturne in abitazioni private, le minacce e le percosse -. Essi si servono di camion per le loro scorribande, usano bombe incendiarie, benzina e petrolio, apposite mazzette e bastoni a nervo”. I fascisti erano entrati in azione.
Ma intanto nell’estate del 1921 erano nati in Italia gli “Arditi del Popolo”, da una scissione della sezione romana degli Arditi d’Italia, per impulso di una serie di ex “arditi” dell’esercito guidati da un simpatizzante anarchico come Argo Secondari ed appoggiati dal futurista Mario Carli. Erano in sostanza gruppi armati di ex arditi da opporre alle squadre d’azione fasciste. Nel giro di poco tempo gli arditi del popolo assommavano a parecchie migliaia di aderenti, suddivisi in oltre cento sezioni, ma sarà Parma a veder nascere nell’agosto del 1922 la sezione forse più agguerrita destinata a dare una lezione esemplare ai fascisti con i cinque giorni di resistenza nell’Oltretorrente assediato dalle camicie nere di Italo Balbo. Il popolare rione chiuso con barricate tenne duro, i fascisti furono costretti a ripiegare. Durante la battaglia si distinse l’anarchico Antonio Cieri, che Picelli aveva nominato vicecomandante degli Arditi del popolo. Le barricate erano ovunque in Via Nino Bixio, via della Salute, via Ponte Caprazucca, via Filippo Corridoni, via Imbriani, vicolo Carra, piazzale Pietro Cocconi, piazza Inzani, borgo Minelli, borgo Morodolo, borgo Salici, borgo Grassani, borgo Bernabei, borgo Carra, borgo Rodolfo Tanzi. Barricate in armi. E poi ecco il trincerone di borgo del Naviglio. L’osservatorio era sul Campanile della Chiesa di Santa Maria. “In tutta la valle padana – aveva scritto Picelli un paio di mesi prima – Parma è l’unica zona che non è caduta in mano al fascismo oppressore. La nostra città, compresa una buona parte della provincia, è rimasta una fortezza inespugnabile, malgrado i tentativi fatto dall’avversario. Il proletariato parmense non ha piegato e non si piega…La difesa organizzata e le pattuglie d’avanguardia nell’azione difensiva hanno mirabilmente tenuto testa all’avversario sacrificando disinteressatamente la vita dei propri aderenti”.
La nuova linea del Piave si era spostata a Parma. Fu una pagina eclatante quella che si sviluppò dal I al 6 agosto a Parma. Squadristi emiliani, toscani, veneti e marchigiani, prima al comando di Roberto Farinacci e poi di Italo Balbo, assediarono Parma dopo aver conquistato ed occupato gli altri centri emiliani. Nucleo della difesa organizzata dagli Arditi del Popolo fu l’Oltretorrente, dove migliaia di arditi agli ordini di Picelli e dal suo vice, il pluridecorato di guerra Cieri, resistettero senza cedere di un metro con contributo di varie formazioni di difesa proletaria come la Legione Proletaria Filippo Corridoni. Tutt’intorno c’erano poi i quartieri popolari mobilitati contestualmente da uno sciopero nazionale indetto dall’Alleanza del lavoro. Il 4 agosto Balbo scrisse:; “Se Picelli dovesse vincere i sovversivi di tutta Italia rialzerebbero la testa. Sarebbe dimostrato che armando e organizzando le squadre rosse si neutralizzava ogni offensiva fascista”.
Il 6 agosto, resisi conto dell’impossibilità di conquistare la città, i fascisti passarono il controllo dell’ordine pubblico all’esercito e si impegnarono a ritirarsi. Per loro era una sconfitta cocente. Peccato però che la previsione di Balbo non andasse in porto, la rotta della sinistra italiana di fronte al sorgente fascismo era in pieno svolgimento.
Guido Picelli alto, dinoccolato, elegante, baffetti leggeri e sguardo deciso ne era uscito comunque a testa alta. Non tanto alta però da evitare persecuzioni poliziesche, visto che subì in poco tempo quattro arresti: il 27 settembre 1921, il 5 marzo 1922, il 31 ottobre 1922 e il 5 maggio 1923. Le imputazioni erano sostanzialmente sempre le stesse: porto abusivo di armi e formazione di bande armate. Ogni volta però la Camera dei deputati dove Picelli sedeva nei banchi socialisti (sarebbe passato ai comunisti poi nel 1924) negava l’autorizzazione a procedere. Picelli comunque ogni volta doveva scontare il fermo di alcuni giorni. Del resto questa attenzione era stimolata dal Ministero dell’Interno che aveva emanato circolari come quella del 13 agosto 1921 tutte a senso unico, per impedire lo sviluppo dell’associazione degli arditi del popolo. Dall’agosto si ebbero ripetuti arresti di Arditi del Popolo. Alla fine dell’anno, il 124 dicembre, Picelli sciolse i suoi Arditi, anche se cercò di mantenere in vita per tutto il ’23 i “Gruppi segreti di azione” o “Soldati del Popolo”. “Parlava un po’ italiano e un po’ in dialetto – ha ricordato l’ardito del popolo Regolo Negri -., secondo gli esseri con cui aveva a che fare. Girava sempre con la pistola. Dormiva in quella strada dietro l’edicola di via D’Azeglio; le case dei due borghi confinavano al centro. Viveva in affitto, da solo. Una volta vennero per prenderlo e lui riuscì a passare nel terrazzo della casa vicina in un altro borgo con un salto. Hanno tentato tante volte di prenderlo! Quando uccisero Matteotti portò un mazzo di fiori rossi sul banco in cui Matteotti sedeva…”.
Nel 1923 i fascisti tentarono più volte di assassinarlo. A Parma gli spararono un colpo di pistola a bruciapelo che Picelli riuscì fortunosamente ad evitare riportando solo una ferita di striscio alla tempia. A Roma fu scoperto un complotto, ordito da alti gerarchi fascisti e funzionari dello Stato, per rapirlo e assassinarlo. Nel ’24 in pieno fascismo Picelli riuscì a issare la bandiera rossa con la falce e martello sul balcone di Montecitorio. Il vessillo resistette per quindici minuti. E lui fu arrestato di nuovo. Picelli quel giorno aveva protestato a modo suo contro l’abolizione mussoliniana della Festa dei Lavoro. Viveva allora a Trastevere, vicino a piazza San Cosimato, e si occupava del soccorso rosso di solidarietà alle vittime politiche. Poi dal ’24 al ’26 fu più volte aggredito fisicamente dalle squadracce fasciste ma continuò a girare l’Italia per organizzare la resistenza antifascista. La sua compagna Paolina Rocchetti venne licenziata, chiunque lo avvicinava veniva controllato. Nel novembre del 1926 Picelli ed altri parlamentari antifascisti furono dichiarati decaduti dal mandato parlamentare e arrestati. Picelli fu poi condannato a cinque anni di confino che scontò a Lampedusa e Lipari. Tentò una fuga, ma non ci riuscì. Nel 1932 riuscì comunque a fuggire dall’Italia, riparò in Francia ma venne espulso per le sue attività antifasciste. Raggiunse allora la Russia ma ben presto si rese conto della tragedia stalinista in corso. Tra le vittime del dittatore caddero anche molti antifascisti italiani, come il suo amico Dante Corneli accusato di trotzkismo e spedito in Siberia ed Emilio Guarnaschelli. Nella fabbrica Kaganovic dove era stato relegato perché ormai entrato nel cono d’ombra del sospetto stalinista subì un processo-purga. Poi allo scoppio della guerra civile spagnola raggiunse Barcellona arruolandosi tra i volontari e assumendo di lì a poco il comando del IX battaglione forte di cinquecento miliziani, assorbito poi nel Battaglione Garibaldi di cui divenne il vicecomandante
Il 1 gennaio del 1937 Picelli conquistò Mirabueno, villaggio strategico sul fronte di Guadalajara. Quattro giorni dopo, a 47 anni, Guido Picelli fu colpito a morte da una raffica di mitragliatrice in combattimento sul fronte di Mirabueno. Così almeno riportò la versione ufficiale. In realtà, come ha scritto poi nelle sue memorie Giorgio Braccialarghe ( un repubblicano, comandante degli Arditi della Brigata Garibaldi che recuperò la salma di Picelli in prima linea), testimone oculare dei fatti, “la pallottola che l’ha fulminato, l’ha colpito alle spalle, all’altezza del cuore”. Cadendo in ogni caso avrebbe detto: “M’hanno fregato”. Per il leggendario Picelli furono organizzati imponenti funerali a Barcellona, Madrid e Valencia. La sorella Camilla e i suoi compagni di Parma appresero la notizia captando clandestinamente le trasmissioni di Radio Barcelona. Fu diffusa allora a Parma una sua fotografia. Nel cortile del carcere di Bologna comparve la scritta: “W la Spagna rossa, ricordate Picelli”.
Le barricate in via Bixio, nell’Oltretorrente