Due appuntamnenti mercoledì 28 novembre a Roma sulla memoria e la Shoah. Alle 18 alla Feltrrinelli (via E.Orlando) si parla del libro di Carlo Greppi “L’ultimo treno” (donzelli): intervengono Mario Avagliano e Grazia di Veroli, moderatore il sottoscritto. Alle 20,30 alla SAla Di Liegro a Palazzo Valentini, sede della Provincia, si parla del 16 ottobre e della deportazione dal Ghetto di Roma col libro di Sandro Gai “Mio Dio perché?”, sottotitolo: 16 ottobre 1943 in fuga con blocco e matita. Con interventi di Riccardo Pascifici, Marcello Pezzetti, Umberto Gentiloni, Michela Micocci, Guglielmina Ranaldi.
L’Ultimo treno: Tra il 1943 e il 1945 più di trentamila persone – uomini, donne, vecchi e bambini – affollano le stazioni dell’Italia centro-settentrionale e partono verso l’ignoto, stipate su treni merci e carri bestiame. L’appassionante studio di Carlo Greppi ricostruisce proprio questa fase essenziale nell’esperienza dei deportati e nella memoria dei salvati, il viaggio verso il lager, e lo fa ripercorrendo le vicende di decine di comunità viaggianti, attraverso le voci di centoventi sopravvissuti. Lo scorrere angosciato del tempo nei vagoni piombati, dove i nazisti sono solo figure sfocate, riempie le narrazioni dei testimoni e accompagna il racconto dei comportamenti dei fascisti, della forza pubblica, dei ferrovieri e della popolazione civile. Durante il tragitto e lungo le rotaie, infatti, questi naufraghi spaesati incontrano uomini e donne capaci di gesti di grande coraggio,ma anche di codardia e di indifferenza. Il racconto del viaggio diventa così l’istantanea di un abbraccio, di una mano tesa, di una lima nascosta, di un sorriso, ma anche di uno sguardo che si distoglie, di una lacrima, di uno sputo. È il ricordo dell’umanità che si incrina, il canto del cigno della normalità. Viaggiando verso i reticolati d’oltralpe, i deportati fanno amicizia e tentano la fuga, litigano e cantano, ridono e piangono, mentre cercano di catturare le ultime immagini di un mondo che si allontana lentamente e per sempre dietro le loro spalle. E le voci intrecciate dei reduci, che in queste pagine rievocano il profumo della libertà e la dignità che svanisce, si trasformano in un grido ostinato in difesa della condizione umana. Gli scritti dei deportati si rincorrono in un inedito mosaico memoriale, schiudendo ai nostri occhi una geografia della sofferenza, che ci commuove e ci indigna. E che ha molto da dire al nostro presente.