Francesco Bianco. Ovvero dai Nar a Forza Nuova, un trentennio di partecipazione all’estremismo fascista e di impunità che ai tempi di Alemanno vale evidentemente un posto all’Atac. Alemanno aveva inizialmente ricordato il diritto al reinserimento nella società anche per chi si sia macchiato di crimini e violenze. Certo. Ma ritrovare questo Bianco ancora poco tempo fa in Forza Nuova, con posizioni di rilievo, rende la posizione dell’ex “autista dei Nar” decisamente indifendibile. E poi aver fatto parte dei Nar non è cosa da poco.
Ai Nar infatti sono accreditati nell’arco di sette anni tra il ’77 e il 1981 ben 33 omicidi di giudici, poliziotti, militanti di sinistra, perfino persone scambiate per altre. In uno di questi omicidi – quello di Roberto Scialabba – è coinvolto sicuramente anche lui. Ma in quel periodo sanguinoso è stata anche commessa la strage della stazione di Bologna, con i suoi 85 morti, di cui hanno dovuto rispondere i capi Fioravanti e Mambro, che se ne dichiarano estranei.
Ed è proprio per la strage di Bologna che il nome di Bianco si trova associato, nel 1980, con quello di altri 27 fascisti nei mandati di cattura emessi dalla procura bolognese. Di tutti i suoi arresti, cominciati come vedremo a 16 anni, quello è stato certamente il più rumoroso anche se poi è finito nel nulla.
Strage di Bologna – Per la strage alla stazione di Bologna il 26 agosto 1980 la Procura della Repubblica di Bologna emise infatti ventotto ordini di cattura nei confronti di militanti di estrema destra dei Nuclei Armati Rivoluzionari. Gli ordini di cattura riguardavano Roberto Fiore e Massimo Morsello (futuri fondatori di Forza Nuova), Gabriele Adinolfi, Francesca Mambro, Elio Giallombardo, Amedeo De Francisci, Massimiliano Fachini, Roberto Rinani, Giuseppe Valerio Fioravanti, Claudio Mutti, Mario Corsi, Paolo Pizzonia, Ulderico Sica, Alessandro Pucci, Marcello Iannilli, Paolo Signorelli, Pier Luigi Scarano, Francesco Furlotti, Aldo Semerari, Guido Zappavigna, Gian Luigi Napoli, Fabio De Felice, Maurizio Neri e Francesco Bianco.
Furono subito interrogati tutti tra Ferrara, Roma, Padova e Parma. Salvo essere poi scarcerati nel corso del 1981. La vicenda è poi nota: sul banco degli accusati di quel nucleo storico sono rimasti Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, che condannati si proclamano estranei alla strage. Ma con quell’arresto la posizione di Bianco era certamente stata riconosciuta come quantomeno quella di un membro di riguardo degli originari Nar.
Processo ai Nar – Dopo Bologna Francesco Bianco riesce poi per una seconda volta a cavarsi d’impaccio, stavolta a Roma, durante il processo ai Nar.
Nel 1985 infatti la III Corte d’Assise di Roma lo rimette in libertà per decorrenza termini.
Il processo ai Nar si era concluso con cinquantatré condanne per quasi quattro secoli di carcere. Alla sbarra in 57. Le condanne più pesanti avevano riguardato Valerio (Giusva) Fioravanti (22 anni e 8 mesi), Dario Pedretti (20 anni e 5 mesi) Luigi Aronica (18 anni e 2 mesi), Marco Di Vittorio (16 anni e 11 mesi), Livio Lai (13 anni e 4 mesi) e Fabio Valencic (12 anni e 2 mesi).
I reati contestati agli imputati si riferivano a rapine in armerie, negozi e istituti di credito; omicidio; tentati omicidi; aggressioni e incursioni in sezioni di partito e negli studi di “Radio Città Futura”; tutti avvenuti tra il 1977 e il 1981.
Per l’ episodio più grave, l’ assassinio del giovane Ivo Zini, i giudici avevano però assolto Mario Corsi per non aver commesso il fatto, ma lo avevano condannato a 9 anni per altri reati.
Assolti erano stati anche il latitante Amedeo De Francisci, Paolo Morelli e Alfredo Graniti.
Le altre condanne erano state inflitte a Gilberto Falcioni (12 anni e 9 mesi) Claudio Conti e Giuseppe Dimitri (12 anni) Francesca Mambro (11 anni e 7 mesi), ai latitanti Massimo Morsello e Andrea Pucci (9 anni e 11 mesi), a Nicola Frega (9 anni e 10 mesi), Gabriele De Francisci (8 anni e 8 mesi) Paolo Pizzonia (8 anni e 6 mesi), Stefano Tiraboschi e Domenico Maghetta (8 anni e 2 mesi).
Agli altri imputati pene variabili dagli 8 anni a un anno e sei mesi.
La Terza Corte di Assise aveva infine ordinato la scarcerazione per decorrenza dei termini per Mario Corsi, Domenico Del Fra, Fausto Vecchi, Patrizio Tronchei, Francesco Braghetta, Gabriele De Francisci, Paolo Lucci Chiarissi, Roberta Manno, Paolo Pizzonia, Claudio Ragno e Frfancesco Bianco. I giudici avevano condannato a 6 anni e sei mesi, il pentito Cristiano Fioravanti, fratello di “Giusva”. La sua condanna era stata superiore alla pena che aveva richiesto il pm Nitto Palma. Per l’ irruzione alla sede di “Radio Città Futura” durante la quale erano state ferite quattro donne, i giudici avevano deciso di assegnare una provvisionale di 30 milioni di lire per ognuna delle vittime.
Il primo carcere nel ’77. Ma come era nato Francesco Bianco? La sua traccia nei libri che si occupano della galassia nera – da “Il piombo e la celtica” di Nicola Rao, edito da Sperling g & Kupfer, a “Destra estrema e criminale” di Mario Caprara e Gianluca Semprini – , è quella di un sostanziale gregario dei Fioravanti, presente però in alcuni dei più efferati atti criminali dei Nar.
La prima volta in carcere di Francesco Bianco è un po’ di anni prima, a metà degli anni ’70. Nel 1977 sconta infatti tre mesi di carcere nel minorile di Casal del Marmo, con un’accusa che da tentato omicidio che gli viene poi derubricata in spari in luogo pubblico. I fatti risalgono al marzo del 1977 e Bianco ha sparato contro un gruppo di militanti di sinistra subito fuori del Tribunale di Piazzale Clodio. Era con Ferdinando Ferdinandi. Tutti e due sparano. Ad acchiapparlo è il maggiore dei carabinieri Antonio Varisco, futura vittima del gterrorismo. “Mi ricordo che dava dei cazzotti al pomo d’Adamo di Ferdinandi e gli urlava: “Dove sta la pistola? Dove hai nascosto la pistola?”, ricorda il Bianco.
A Rao ne “Il piombo e la celtica” Francesco Bianco che all’epoca aveva 17 anni fa questa ricostruzione: “Nel marzo del ’77 qualcuno mi aveva dato una pistola calibro 7,65 modello 70. Era talmente nuova che non riuscivi ad armarla per quanto era dura…All’epoca al tribunale ci entravi come niente, c’erano controlli all’acqua di rose…”. Inseguiti da militanti di sinistra i due fascisti, lì per un processo ad altri loro camerati, guadagnano l’uscita sulla strada laterale oggi dedicata a Mario Amato. E lì sparano contro i giovani di sinistra. Molti colpi. Finché non vengono arrestati…
Le prime aggressioni. Bianco era arrivato a Monteverde Vecchio poco tempo prima dalla Magliana e si era unito ai fascisti locali con i due Fioravanti in testa. A Rao ha raccontato le prime gesta, con un primo assalto a suon di chiavi inglesi a militanti di sinistra al Giardino degli Aranci. Poi ha riferito delle adunate in una villa del banchiere napoletano Cacciapuoti, vicino al Fungo, dove per Capodanno del ’78 Bianco e gli altri avevano sparato in aria con un fucile della villa. Frequentatori del Fungo con Bianco erano allora i Fioiravanti, Massimo Carminati poi nella banda della Magliana, i fratelli Bracci, Franco Anselmi, Alberto Giaquinto (a cui Luca Telese ha dedicato uno dei “Cuori neri”).
In quella villa accanto al Fungo si radunano in una cinquantina una sera, lo riferisce Cristiano Fioravanti diventato poi collaboratore di giustizia, e decidono di rispondere con un attentato alla spirale innescatasi nel dicembre ’77 con vari ferimenti da una parte e dall’altra. “C’erano Valerio Fioravanti, Alessandro Alibrandi, Franco Anselmi e Francesco Bianco…”, così dice Cristiano Fioravanti nel libro di Rao.
Poi ecco Bianco di nuovo in azione dopo l’attentato alla sezione missina di Acca Larentia, in cui muoiono due iscritti. “Arrivammo là che Recchioni era stato appena colpito – ricorda Bianco -. E non ce ne andammo più. La prima sera cui furono scontri durissimi con i carabinieri. Mi ricordo il giorno dopo la foto di un blindato che avrà ricevuto almeno venti colpi di pistola…”
L’omicidio Scialabba. Ed eccoci al 28 febbraio del ‘78. Dario Pedretti, dei Nar, appena uscito dal carcere gli dice: “Dentro mi hanno dato una dritta. Dicono che a sparare ad Acca Larentia sono stati i compagni del centro sociale di via Calpurnio Fiamma”. Così il 28 tre auto lasciano il Fungo. Una è guidata da Francesco Bianco. Lo ricorda lui stesso a Rao: “Io guidavo una delle auto…”. Tutta la dinamica è stata poi riferita definitivamente nel 1982 da Cristiano Fioravanti, ormai collaboratore di giustizia.
“Sulla 132 – ha spiegato Cristiano Fioravanti – prendemmo posto io, Valerio, Alibrandi, Anselmi e il Bianco…”. Insomma il nucleo più duro. Sulle altre due ci sono, tra gli altri, Pedretti, Massimo Rodolfo, Paolo Cordaro. Obiettivo, Cinecittà. Le tre auto avevano puntato su una palazzina occupata di via Calpurnio Fiamma, ma la polizia ha appena sgomberato l’edificio. Allora gli otto fascisti ripiegano su Don Bosco, a poche centinaia di metri. Sapevano che lì si ritrovavano la sera militanti di sinistra. “Parcheggiai a un centinaio di metri da un gruppo di ragazzi, seduti su una panchina – ha riferito Bianco a Rao -. Gli altri sono scesi e hanno cominciato a sparare. Mi ricordo che a Franco (Anselmi, ndr) si inceppò una pistola, così tornò di corsa alla macchina, io gli diedi la mia, lui tornò là e riprese a sparare…”. Racconta Cristiano Fioravanti: “Il Bianco rimase al volante della sua autovettura e ugualmente rimase a bordo della stessa come copertura Alibrandi. Dalla macchina scendemmo io, Valerio e Anselmi. Io ero armato di una pistola Flobert calibro 6 modificata in modo da sparare colpi calibro 22. Valerio aveva una 38 franchi 6 pollici e Anselmi una Beretta calibro 7,65. Scesi dalla macchina abbiamo percorso alcuni metri a piedi andando di fronte al gruppo di persone che avevamo visto. Mi sembra che abbiamo fatto subito fuoco. Io sono sicuro di aver colpito una delle persone verso la quale avevo sparato uno o due colpi e non potei spararne altri perché la pistola s’inceppò. Anselmi scaricò tutto il caricatore della sua pistola, non so dire se abbia colpito qualcuno, perché fra di noi aveva stima di essere un pessimo tiratore e lo soprannominavamo “il cieco di Urbino”. Valerio colpì uno dei giovani che cadde a terra. Visto ciò, Valerio gli salì a cavalcioni sul corpo, sempre rimanendo in pedi e gli sparò in testa un colpo o due. Quindi si girò verso un ragazzo che fuggiva urlando, e sparò anche contro questo ma senza colpirlo…Alibrandi era armato di una Beretta calibro 9 corto, mentre il Bianco aveva una calibro 22 datagli da Massimo Rodolfo…”.
In questo modo è morto dunque Roberto Scialabba. E così fu ferito suo fratello. Il Messaggero il giorno dopo: “Le indagini sono indirizzate verso un regolamento di conti nell’ambiente dei drogati e degli spacciatori. L’ipotesi del movente politico per la polizia per ora è da escludere”. Passa ancora un giorno ed è Repubblica a titolare finalmente: “E’ stato un delitto nero, altro che giro di droga”. Francesco Bianco fu poi incriminato per concorso in omicidio e se la cavò di nuovo.
L’assalto all’armeria – Pochi giorni dopo, il 6 marzo del 1978, Bianco era di nuovo in un gruppo d’assalto, stavolta contro l’armeria Centofanti a Monteverde Vecchio. Nell’azione rimase colpito a morte Franco Anselmi. Francesco Bianco era alla guida dell’auto rubata con cui il gruppo di fuoco, guidato da Giusva Fioravanti, doveva fuggire.
“L’idea della rapina all’armeria fu di Valerio – ha riferito Bianco a Rao -. Ma serviva una macchina, così la sera prima la rubammo io e Cristiano Fioravanti a una pompa di benzina sulla Laurentina”. Poi la rapina. E Anselmi che viene freddato dai derubati. “La reazione degli altri neofascisti – scrisse la cronaca del Messaggero – è immediata e violenta. Sentiti gli spari si voltano verso l’armeria e aprono il fuoco”. Preso dal panico Bianco fa per scappare abbandonando gli altri al loro destino, ma deve fare i conti con un infuriato Fioravanti che glielo impedisce “puntandogli la pistola alla nuca”, scrivono Caprara e Semprini in “Destra estrema e criminale”. E poi? Nel 1980 – come già ricordato- Bianco viene incarcerato per la strage di Bologna. Un anno brutto, il 1980: il 25 marzo l’avevano anche accusato di un paio di attentati ai cinema Garden e Induno di Roma. Nel 1981 in carcere a Viterbo rischia con i guappi, ai quali ha mancato di rispetto. Poi riacquista la libertà.
Ed eccoci al 2000. Nella fase successiva all’attentato di Andrea Insabato al Manifesto (22 dicembre), aggredisce un giornalista, Guido Ruotolo della Stampa. Bianco che di lavoro fa ora l’edicolante, rivendica l’amicizia con Insabato e sostiene di averlo incontrato la mattina dell’attentato: perché il Manifesto – chiede provocatoriamente Bianco prima di prendere a pugni Ruotolo – può ospitare in redazione ex brigatisti (Geraldine Collotti e Francesco Piccioni), mentre quelli di Forza Nuova non possono dare lavoro a camerati ex detenuti (Insabato, ma anche Rosario Lasdica o Davide Petrini)?
Di tutti questi trascorsi gli è restata in faccia sulla guancia una lunga cicatrice, ricordo di quegli anni in cui venivano uccisi giovani di sinistra come Valerio Verbano e funzionari come il giudice Amato. Neanche la cicatrice vistosa sembra aver turbato l’ufficio personale dell’Atac che, grazie ai buoni uffici della giunta Alemanno, l’ha ingaggiato, un fatto che appare sufficientemente grottesco per non dire peggio.
Stasera l’Atac l’ha sospeso cautelativamente in attesa di accertamenti. Cautelativamente?