Informazioni che faticano a trovare spazio

Flavia Perina ha scritto su Walter Rossi

Il 21 settembre avevo scritto in questo blog: “Perché Flavia Perina, la direttrice del Secolo d’Italia, non scrive qualcosa su quella sera in cui Walter Rossi fu ammazzato? Conosceva i due Fioravanti, Alibrandi, Insabato ecc. Era in quella sezione, fu tra gli arrestati di quella sera, ha fatto qualche giorno di carcere.
La domanda resta una sola: chi ha sparato la sera del 30 settembre del ’77 a Walter Rossi in via delle Medaglie d’Oro?”

Oggi sul giornale che dirige Flavia Perina ha scritto un editoriale intitolato: “Walter Rossi: tutti vogliamo la verità”.
Molti possono essere ovviamente gli appunti che si possono muovere.
Il primo che salta agli occhi riguarda un nome che manca, quello di Elena Pacinelli – una ragazza di soli 19 anni – che alla vigilia dell’uccisione di Walter Rossi fu colpita in piazza Igea da una pistolettata sparata da un’auto in corsa, un atto che le avrebbe poi procurato nell’arco di poco tempo la morte. La morte di Elena Pacinelli e di Walter Rossi fanno parte dello stesso scenario.
E ancora: Flavia Perina non può ignorare che in quella sezione della Balduina di cui faceva parte erano confluiti alcuni tra i più pericolosi fondatori dei Nar, nati nell’inizio di quell’anno e già sperimentatisi nel marzo del ’77 in scontro a fuoco con la polizia a Borgo Pio.
Ai Nar appartenevano i due Fioravanti, Giusva e Cristiano, e Alessandro Alibrandi. E proprio sui nomi di Cristiano Fioravanti e Alessandro Alibrandi si sono concentrate le successive voci ricorrenti come partecipanti  all’uccisione di Walter Rossi, voci che hanno infine trovato una conferma nella deposizione di Giusva Fioravanti nel contesto dell’inchiesta sulla strage di Bologna.
Da quella deposizione – ricordiamo a Flavia Perina – è scaturita all’inizio dello scorso decennio la riapertura dell’inchiesta sulla morte di Walter Rossi presso la Procura per i minori. Salvo poi nel 2003 dissiparsi, a causa di una successiva ritrattazione di Giusva a favore del fratello, in un “non luogo a procedere” decretato da un frettoloso gup dei minori nei confronti di Cristiano Fioravanti ormai trattato come un consolidato collaboratore di giustizia.
    
Consideriamo comunque questo scritto un inizio, bisognerà se davvero se ne ha l’intenzione andare più avanti, più a fondo.
Ecco dunque il testo di Flavia Perina uscito oggi sul “Secolo d’Italia” in edicola.

Walter Rossi: tutti vogliamo la verità

Flavia Perina
«Famola finita. Quando hanno ucciso mio figlio avrei bruciato Roma. Ora, a 82 anni, mi associo al dolore delle famiglie di tutti i ragazzi anche quelli di destra. Il dolore è un collante più forte della politica. Fatela finita e cerchiamo i nostri ideali. Io sono un uomo di sinistra ma oggi bisogna avere un dialogo e penso che anche mio figlio sarebbe stato d’accordo con me». Con queste parole Francesco Rossi, padre di Walter, il militante di Lotta Continua ucciso 33 anni fa nel quartiere romano della Balduina, ha ricordato suo figlio in una cerimonia con Alemanno e Zingaretti. Sono state parole sommamente coraggiose, che meritano un approfondimento non casuale e non retorico. Sì, è vero, l’uccisione di Walter Rossi resta – non solo processualmente – un fatto misterioso, anzi molto di più: è lì, in quella sparatoria su via Medaglie d’Oro, lo spartiacque del 1977, anno per molti versi fatidico della storia italiana. “Prima” di quel 30 settembre c’è la fase creativa del movimento, dove la contestazione e la rivolta esiste ma si esprime soprattutto con i codici dell’irriverenza e dell’antagonismo culturale. “Prima” c’è l’happening di Bologna (contro cui Zangheri mobiliterà i carri armati), gli indiani metropolitani, Radio Alice, Lama cacciato dalla Sapienza tra sassi e sberleffi («I Lama stanno in Tibet»). “Prima” c’è, a destra, il Campo Hobbit numero uno, che declina la sua idea di gramscismo di destra squadernando davanti all’unico stupefatto inviato (del manifesto) suggestioni rock, grafiche, underground oltre ogni etichettatura ideologica. “Prima” c’è il raduno antinucleare di Montalto di Castro, dove i ragazzi di destra (guidati da Umberto Croppi) sciamano insieme con quelli di sinistra e con lo strano popolo di intellettuali e fricchettoni richiamato dall’evento. “Prima” c’è l’appello degli intellettuali francesi «contro il compromesso storico, in nome della libertà». “Prima” c’è l’anno d’oro della Voce della Fogna con le rubriche di macrobiotica, viaggi, la fascinazione per Tolkien e per Il Signore degli Anelli che sostituisce l’armamentario del nostalgismo.
Dopo quel 30 settembre (io alla Balduina fui arrestata e me lo ricordo bene) cambierà tutto, e il mondo dei giovani comincerà a scrivere una storia dove i colori della violenza saranno determinanti. Il Viminale guidato da Francesco Cossiga chiuderà metà delle sedi missine a Roma, trasformando centinaia di militanti in “cani sciolti” fuori da ogni organizzazione e controllo. La sinistra aprirà la caccia ai missini, che a Torino condannò a morte Roberto Crescenzio, 22 anni, rimasto prigioniero delle fiamme nell’incendio del bar L’Angelo Azzurro. A Bari ammazzeranno a coltellate un ragazzo di sinistra, Benedetto Patrone. In Italia si scatenerà un’ondata di violenza senza precedenti nella storia repubblicana: bombe e assalti contro le sede del Msi, dell’autonomia, di parecchie multinazionali, delle prigioni in costruzione, dei giornali. Un cupio dissolvi che darà a Cossiga la sponda per ottenere il “sì” alle leggi speciali che da mesi invocava.
Questo è il contesto. E agli ex ragazzi di sinistra che chiedono verità su Walter Rossi possiamo sommare con la più assoluta onestà la nostra voce di ex ragazzi di destra: la verità la vogliamo anche noi, non solo perché pure il nostro mondo pagò un prezzo, politicamente e personalmente, per quel delitto infame, ma anche perché ora che siamo padri e madri ci immedesimiamo fino in fondo nel lutto e nel desiderio di giustizia di Francesco. Tre sono gli episodi misteriosi che, a cavallo della fatidica estate del ’77, scatenarono la follia degli opposti estremismi. L’uccisione dell’inerme Giorgiana Masi, dimostrante radicale, in maggio. La sparatoria da una macchina in corsa contro il segretario della sezione missina della Balduina, Enrico Tiano, in giugno, che “alzò il livello dello scontro”, come si diceva all’epoca, perché Enrico sopravvisse solo per caso (fu colpito al polmone). E poi, appunto, Walter Rossi. Non abbiamo spunti giudiziari da offrire, non vogliamo rifugiarci nelle dietrologie, ma sappiamo che in un Paese normale dopo 30 anni anche gli archivi più segreti dovrebbero essere accessibili. E non riusciamo a dimenticare una frase letta di recente nell’ultimo libro di Cossiga, Fotti il potere: «Sì, sono cose che non andrebbero mai dette, ma per capire bisogna ricordare qual’era il clima politico e sociale degli anni ’70. La contestazione, la violenza politica e il terrorismo minacciavano l’autorità dello Stato e tutti i partiti a cominciare dal Pci mi chiedevano di riportare l’ordine con ogni mezzo. C’era solo un modo per farlo: usare la forza. Ma l’uso della forza deve essere condiviso dall’opinione pubblica. Fu per questo che, dopo aver infiltrato nelle organizzazioni più estremiste alcuni agenti provocatori, diedi ordine di lasciare liberi i manifestanti di mettere a ferro e a fuoco le città. La gente non ne poteva più e così, forte del consenso popolare, potei scatenare la repressione».
Flavia Perina

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